
Ius Culturae. Diritti e dignità, per tutti
Il 29 novembre in Piazza Montecitorio, in un clima pacifico e gioioso, si è svolta una nuova “Marcia dei Diritti” a sostegno dello Ius Culturae, rilanciando lo slogan della manifestazione dello scorso 9 maggio: “Uniti Siamo, Insieme Possiamo”. Un’iniziativa con la quale i partecipanti hanno chiesto ai politici di tornare a trattare il tema della cittadinanza per portare finalmente a termine un processo di riforma fermo da due anni.
“Vogliamo ribadire che questa riforma è necessaria per la crescita del nostro Paese e per il rispetto di chi nasce in Italia, ci vive e contribuisce al suo sviluppo, sia al livello economico che culturale” dice ad AVANGUARDIE MIGRANTI il “Comitato italiani di origine diversa, immigrazione e discriminazioni”, promotore della Marcia.
Al centro di questo lotta annosa, la piena attuazione dell’articolo 3 della Costituzione italiana, che sulla carta sancisce la tutela di ogni individuo, parità e uguaglianza sociale. “Crediamo che attraverso un percorso scolastico e di residenza sia possibile includere e dare giustizia” sottolineano i membri del Comitato a pochi giorni dalla Marcia.
Rivolgendosi alla classe politica, chiedono di “mettere da parte prese di posizioni ideologiche e giochi politici per trovare la giusta mediazione tesa ad arrivare ad una riforma più condivisa possibile tra tutte le forze”.
Rispetto allo Ius Soli – chi nasce sul suolo italiano – lo Ius Culturae consentirebbe il riconoscimento della cittadinanza italiana a quanti seguono un ciclo scolastico di 5 anni, con genitori stabilmente residenti nel Paese. “Basta giocare sulla pelle di bambine, bambini ed adolescenti che vivono una discriminazione burocratica nella scuola dell’obbligo” insistono gli attivisti, sollecitando l’eliminazione del decreto sicurezza che di fatto limita anche la richiesta di cittadinanza.
Al di là della necessaria riforma della cittadinanza, attesa da più di 20 anni, i membri del Comitato rimarcano quanto sia importante essere “partecipi e solidali nello sviluppo del Paese ed unire le lotte contro ogni forma di discriminazione, al fine di ottenere i giusti riconoscimenti e coesione sociale, in nome dell’Italia che vorremmo costruire tutti insieme” insistono gli organizzatori.
“È inaccettabile che in un paese moderno e cosiddetto sviluppato, esista ancora una legge che fabbrica stranieri. Ancor più incredibile che per diventare cittadini italiani sia più veloce il processo per un adulto immigrato (circa 10 anni), più o meno volutamente, invece che per un bambino nato e cresciuto nel paese, che deve aspettare di compiere 18 anni per fare richiesta e sperare che gliela approvino” fa notare ad AVANGUARDIE MIGRANTI l’associazione “QuestaéRoma”, altra realtà della società civile in prima linea nella battaglia per la riforma della legge di cittadinanza. Molte le storie vissute sulla propria pelle da esponenti dell’associazione romana, che raccontano come “basti un’incongruenza nella residenza per esempio, in un qualsiasi momento durante i 18 anni di crescita in Italia, per vedersi rifiutata la richiesta”. Per superare facilmente scogli burocratici e intoppi amministrativi di vario genere, anche “QuestaéRoma” difende l’approvazione dello Ius Culturae, che prenderebbe anche in considerazione il percorso scolastico e di apprendimento del bambino in questione. Ma nell’Italia di oggi, “oltre al fatto di essere riconosciuti sulla “carta” ora più che mai le varie realtà che si occupano di cittadinanza dovrebbero unirsi di più per sensibilizzare la cittadinanza. A riprova i molti fatti di cronaca avvenuti di recente nello sport e nella vita civile” insistono i responsabili dell’associazione romana.
“Credo che uno stato incapace di riconoscere i suoi figli pratichi una grave discriminazione, autorizzando tacitamente dall’alto poi le discriminazioni quotidiane della gente comune” analizza Aglaya Jimenez Turati, fondatrice dell’associazione bresciana di Peace Words, autrice di “Racconti di violenza e discriminazione. Lo storytelling come strumento per il cambiamento sociale”. Anche per lei lo Ius Culturae rappresenta “un buon compromesso per mettere d’accordo tutti, anche quelli più scettici, rispetto a un diritto che dovrebbe esserci naturalmente”.
Da Milano, l’italo-camerunense Michelle Francine Ngonmo, smonta il discorso di chi evoca il rischio di “perdita di identità nazionale” nel caso in cui la riforma venisse approvata. “L’identità parte dall’unità, che ad oggi non esiste. Lo Stato italiano non può crescere ed investire nei suoi figli se allo stesso tempo nega loro la partecipazione alla sua costruzione” prosegue la fondatrice della Afro Fashion Week (Afwm). Per la Ngonmo quello in atto è “un approccio poco lungimirante e deleterio per la crescita del Paese, responsabile di uno spreco di risorse economiche ed umane oltre ad essere una perdita di tempo” conclude l’imprenditrice del settore moda.
Sul tema https://www.avanguardiemigranti.it/2017/09/11/una-riforma-di-civilta/
Photo Credit: © Marcia dei Diritti (pagina Facebook)/Italiani senza cittadinanza