
Dalle campagne italiane storie di schiavitù e lotte
Un libro inchiesta che dà voce ai lavoratori, alle braccia che ogni giorno raccolgono la frutta e la verdura che mangiamo. Storie di schiavitù nelle campagne d’Italia di oggi che ci riguardano da vicino: sono lo specchio dell’erosione dei diritti dei lavoratori, che nella filiera dell’alimentazione ha un peso maggiore. I diritti calpestati hanno come contraltare una qualità sempre più scadente dei frutti dalla terra, prodotti con metodi intensivi che stanno distruggendo l’ambiente, aggravando la crisi climatica ormai sotto gli occhi di tutti.
Questi i temi di scottante attualità affrontati dal libro di Sara Manisera, studi in relazioni internazionali, giornalista, esperta di caporalato in Italia, intitolato “Racconti di schiavitù. E lotta nelle campagne”, fresco di stampa, pubblicato da Aut Aut Edizioni.
Negli ultimi mesi quante volte abbiamo sentito parlare ai Tg di migranti sfruttati nelle campagne italiane – dalla Campania alla Puglia passando per Lazio e Calabria – di quelli che hanno perso la vita nelle baraccopoli e di quelli uccisi per le loro lotte in difesa dei diritti. Una delle tante (troppe) vittime è stata nel giugno 2018 il bracciante 29enne, originario del Mali, Sacko Soumayla, ucciso a San Ferdinando, a Reggio Calabria. E pochi giorni fa ha fatto scalpore la notizia di un imprenditore agricolo 35enne che a Terracina sparava sui lavoratori indiani per costringerli ad accelerare la raccolta e la lavorazione dei prodotti.

“Su questi temi la narrazione è molto sbagliata. Basta chiamarli migranti. Quelle che ho raccolto in giro per l’Italia sono storie di vita reale, di lavoratori, di persone. Non sono arrivati l’altro ieri, ma alcuni sono qui da 20 anni. E tra loro non ci sono solo stranieri, ma anche italiani” dice ad AVANGUARDIE MIGRANTI Sara Manisera, alla vigilia di una presentazione del libro, sabato 26 ottobre ad Abbiategrasso (in provincia di Milano).
Per lo più sono persone invisibili, che lavorano in nero, alla ribalta della cronaca soltanto quando accade un fatto eclatante, un dramma, per il resto le storie di schiavitù sono diventate la ‘normale’ quotidianità di chi raccoglie quello che mangiamo ogni giorno. Il fenomeno, prevalente nelle campagne del sud del Paese, riguarda anche centri urbani del nord, come Brescia, dove la crisi del 2008 ha costretto alcuni lavoratori già inseriti in altri settori di attività a ritornare in campagna per guadagnarsi la pagnotta. Maliani, senegalesi, burkinabe, ivoriani, gambiani, guineani, bengalesi e pachistani sono le nazionalità più numerose tra i braccianti, una maggioranza di uomini ma anche qualche donna.
“Tra i braccianti ho incontrato laureati in lettere, in ingegneria, chi era sindacalista nel paese di origine, chi lavorava nel settore petrolifero in Libia ed è stato costretto a scappare. Molti di loro parlano quattro o cinque lingue” riferisce la giornalista.
In questo girovagare di “uomini e donne resistenti – così li chiama l’autrice – ho conosciuto non migranti ma lavoratori, persone con alle spalle storie di sacrifici e di lotte per un futuro migliore per loro e per i propri figli” prosegue la Manisera. “Il mio sangue è dello stesso colore del tuo. Perché dovrei accettare 20 euro al giorno per raccogliere i pomodori?” si è sentita dire la giornalista.
Ma non sono loro gli unici protagonisti del suo racconto: le storie dei braccianti si intrecciano con quelle di italiani, di movimenti di lotta per cambiare il modello agricolo diffuso che di fatto porta allo sfruttamento. Storie positive di resistenza socio-economica che portano alla nascita di gruppi di acquisti solidali ed altre realtà organizzative per bypassare la grande distribuzione, tra le prime cause di tutti i mali.
“Non tutti i proprietari terrieri sono schiavisti e in alcune situazioni non hanno altra scelta che applicare il tariffario di 5 euro per chi raccoglie. Il caporalato si inserisce in una dinamica più complessa che vede la responsabilità criminale della Grande Distribuzione Organizzata (GDO): con una doppia asta a ribasso porta al livello più giù possibile il prezzo di acquisto di frutta e verdura ai produttori, scaricando il risparmio – per realizzare il massimo profitto – sulla pelle di chi sta peggio” denuncia la Manisera. Del resto gruppi come Auchan, Carrefour, Coop e Conad lo possono fare perché in merito non ci sono leggi chiare e lo Stato lascia il settore alle regole del libero scambio.

“In questo quadro complesso c’è anche una responsabilità di noi cittadini consumatori quando andiamo a fare la spesa. Ci dobbiamo interrogare su cosa mangiamo, informati e consapevoli che diritti delle persone e qualità del cibo vanno di pari passo” sottolinea la giornalista. Sulla sospettata qualità scadente della frutta e verdura che acquistiamo al supermercato, le testimonianze raccolte confermano quello che i sapori già ci dicono, ad esempio quando mangiamo pomodori fatti crescere in sole due settimane.
Ad accompagnare la ricca narrazione di tante storie affidate in prima persona dai loro protagonisti, tutti citati con il solo nome – per una precisa scelta dell’autrice – il ciclo delle stagioni con i suoi rituali e i suoi frutti, che intreccia quello della Storia.
Così “Racconti di schiavitù” si apre con un episodio del passato, legato alla storia di famiglia della Manisera: quella di sua nonna, originaria della provincia di Salerno, emigrata in Germania. Un vissuto emblematico di una intera generazione di italiani che nel secolo scorso dalla terra è stata costretta ad emigrare. Dopo aver attraversato le quattro stagioni in diverse regioni agricole dello Stivale, il ‘viaggio’ si conclude con un ritorno al passato, con la voce dei nipoti dei sindacalisti che nella Sicilia del dopoguerra hanno combattuto contro il latifondo, in difesa dei propri diritti, come accaduto a Portella della Ginestra, dove il 1 maggio 1947 una manifestazione contadina è stata repressa nel sangue.
Perché in fondo la storia si ripete. A cambiare sono i protagonisti, almeno una parte di loro.
“Oltre a documentare il caporalato, le sue cause, implicazioni e vittime, con questo libro intendo contribuire a un cambio di narrazione in positivo. Ci sono esempi di italiani che accolgono, che lottano con i lavoratori stranieri, tutti insieme: persone, cittadini uniti per migliorare la qualità di vita, dei diritti e dell’ambiente. Proprio da qui dovremmo ripartire” conclude la giornalista.

Da “Racconti di schiavitù. E di lotta nelle campagne” (Aut Edizioni, 2019)
“In questo girovagare, ho scelto di incontrare uomini e donne resistenti, che rendono più bella l’Italia, ma soprattutto braccianti stagionali. Non migranti ma lavoratori, perché dietro a quel generico e anonimo “migranti”, si celano storie, sacrifici e lotte, per cercare un lavoro, migliorare la propria vita o garantire ai propri figli un futuro dignitoso. Ogni storia è diversa dall’altra. Ogni persona ha un percorso migratorio unico. C’è chi fugge a causa della guerra, della carestia o della siccità. Chi per motivi politici o religiosi. Chi migra perché è discriminato o oppositore politico. C’è chi parte per cercare un lavoro, perché vuole studiare o semplicemente viaggiare. C’è chi ha sentito parlare dell’Europa come dell’Eldorado e chi non ne ha mai sentito parlare. C’è chi è in Italia da vent’anni e chi da due. Chi è venuto in aereo quando era possibile ottenere i visti da ambasciate e consolati. E chi ha pagato dei trafficanti, perché oggi ottenere un visto è privilegio per pochi ricchi.
Ciò che accomuna queste storie, tuttavia, è lo sfrut- tamento sul lavoro. Un fenomeno che non risparmia i lavoratori italiani nella catena produttiva agricola ma che si avvale spesso di lavoratori stranieri, vulnerabili e ricattabili. Alla fonte dello sfruttamento c’è la Grande Distribuzione Organizzata e più in generale, un siste- ma agroalimentare che mette all’asta l’agricoltura, utiliz- zando metodi feudali e paramafiosi, e scarica sull’ultimo tassello della filiera l’abbattimento dei costi. In questo si- stema che trasforma in merce il bene più prezioso – il cibo – e posiziona il profitto prima del rispetto dell’uo- mo e dell’ambiente, noi cittadini-consumatori abbiamo enormi responsabilità, perché possiamo scegliere, attra- verso la nostra spesa, di sostenere una filiera agroalimentare sana, senza sfruttamento.”
Photo Credit: © Sara Manisera – Aut Aut Edizioni – Forestali News