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Amazzonia, Africa e Libia al RomaEuropa Festival

Inaugurata il 17 settembre, prosegue anche ad ottobre l’edizione 2019 del RomaEuropa Festival con una ricca programmazione che porterà lo spettatore dall’Amazzonia alla Libia facendo tappa in diversi paesi africani.

Il 4 ottobre, al Mattatoio (Testaccio), ZU presenterà Terminalia Amazonia, produzione del RomaEuropa Festival. In anteprima assoluta, il nuovo progetto di Zu affonda le sue radici nella giungla amazzonica – zona in cui gli stessi due componenti di ZU hanno viaggiato nel corso di quattro anni – e ci trascina nelle cerimonie notturne degli sciamani curanderi, indigeni mai usciti dal loro territorio. I suoni raccolti in questa esperienza ricostruiscono un ambiente stimolante, una sorta di macro laboratorio in cui la natura offre tutto, fluidamente e generosamente.

Formata da Luca T. Mai, Massimo Pupillo e Jacopo Battaglia, ZU si muove da più di 15 anni tra generi musicali differenti. Il loro amalgama di metal, noise, elettronica e no-wave, è stato definito come “una musica potente ed espressiva che cancella completamente ciò che la maggior parte delle band fa oggigiorno”. ZU ha tenuto più di 2000 concerti in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, Asia, Russia, Messico e Africa collaborando con artisti del calibro di Faith No More, Fantomas, The Melvins, Sonic Youth, Einstürzende Neubauten ecc. Costanti viaggi in Amazzonia hanno permesso al gruppo di campionare e utilizzare sonorità umane e naturali del luogo. Il loro ultimo progetto nasce proprio da queste musiche.

Il 9 ottobre, sempre al Mattatoio, in prima nazionale, Hamdi Dridi porterà sul palco I listen (you) see, ispirato ai movimenti e ai corpi degli operai e dei lavoratori tunisini contrapponendoli a quelli artistici. Il coreografo crea una partitura in cui i gesti più banali si confondono con l’Hip Hop, atmosfere pop e rock in una pratica che attraverso lo sfinimento permette ai gesti dei lavoratori di tramutarsi in pura danza.

Hamdi Dridi è un danzatore tunisino che ha iniziato la sua carriera come ballerino Hip Hop e come interprete nella compagnia Sybil Ballet Theatre diretta da Syhem Belkhodja, prima di continuare la sua formazione con Maguy Marin nel 2010 e con il Cndc di Angers nel 2013. Tra il 2015 e il 2017 Dridi perfeziona il suo lavoro coreografico con un Master presso l’Institut Chorégraphique International ICI-CCN di Montpellier, mentre continua a esibirsi sulla scena francese, magrebina e in altri contesti internazionali. Coltiva parallelamente la sua passione per la musica e il teatro e pone particolare attenzione alla musicalità vocale. Il testo narrato ha infatti un posto sempre centrale nella sua ricerca sul movimento corporeo. Le sue coreografie affrontano temi sociali, politici e religiosi ma sono fortemente ancorate ad una dimensione intima e poetica. Ne è un esempio il solo Tu meur (s) Earth, un omaggio al padre, imbianchino, morto nel 2014. È anche attraverso questa coreografia che Hamdi Dridi trasporta i gesti dei lavoratori nella danza, trasformando questo elemento in un segno ricorrente della sua opera. Affinando la sua scrittura e le sue scelte artistiche attraverso la collaborazione con artisti visivi, differenti danzatori e compositori, propone una ricerca volta alla creazione di una danza sonora, da collocare sia nello spazio teatrale che in luoghi alternativi attraverso site specific, collocandosi in un ambito liminare tra coreografia e performance.

Il 10 ottobre al Mattatoio secondo appuntamento con Hamdi Dridi, in Tu meur (s) Earth, che lo vede  impegnato in un poetico e commovente solo che lo vede in scena danzare la storia di suo padre e cercare di rievocare attraverso il suo corpo quello del genitore. “Ballo un dolore con calma, trasformando un tumore in un poema” afferma il coreografo. Il solo diviene presto un duo, quello tra due corpi, tra cielo e terra, per accettare il dolore scaturito dalla perdita e prepararsi a un nuovo possibile incontro.

Il 10 ottobre all’Auditorium Parco della Musica si terrà il primo degli appuntamenti che il Ref19 dedica all’esplorazione delle sonorità extraeuropee con un focus al confine tra nomadismi e diaspore, tra Africa ed Europa. In concerto Alsarah, considerata l’icona della musica retro-pop dell’Africa Orientale. Dopo la fuga dal Sudan e poi dallo Yemen, la musicista si trasferisce negli Usa, dove, insieme alla sorella Nahid, fonda la band Alsarah and the Nubatones. Con i suoi testi cantati in arabo e sudanese e l’attenzione agli strumenti tradizionali la band ha conquistato l’attenzione internazionale.

Alsarah, cantante, band-leader ed etnomusicologa, nasce a Khartoum, in Sudan, si trasferisce poi in Yemen con tutta la sua famiglia prima di essere costretta a emigrare negli Stati Uniti, sentendosi finalmente a casa a Brooklyn, New York, dove risiede dal 2004. Si definisce come promotrice dell’East-African Retro-pop music, un genere con il quale si è affermata sulla scena musicale internazionale. Fonda la band Alsarah & The Nubatones con la quale ha pubblicato due album: Silt (2014),  Manara (2016). La band nasce dalle numerose conversazioni tra Alsarah e Rami El Aasser (percussionista, studioso di storia, musica e filosofia medio-orientale) intorno alle così dette “songs of return” nubiane, alle moderne migrazioni, e agli scambi culturali tra Sudan ed Egitto. Dal loro primo live nell’Ottobre del 2011 il gruppo si è esibito in prestigiosi festival e location internazionali dinanzi ad un pubblico vario, dimostrazione della capacità della musica dei Nubatones di sorpassare qualsiasi barriera generazionale, culturale e linguistica.

Altrettanto sorprendente la voce di J.P. Bimeni e della sua band The Black Belts. Fuggito dalla guerra civile del Burundi a 15 anni, Bimeni ottiene lo status di rifugiato nel Regno Unito dove coltiva la sua passione per la musica tra jam sessions e serate open mic, diventando una giovane star dall’anima funk tinteggiata da struggenti ballad in stile southern soul.

J.P Bimeni – Rifugiato a Londra fin dai primi anni 2000, sorprende con una voce che ricorda il soul del primo Otis Redding, in cui risuona l’anima dell’Africa. Le canzoni di Bimeni parlano di amore e perdita, speranza e paura, e delle esperienze straordinarie con cui la vita lo ha messo alla prova. Discendente di una famiglia reale burundese, Bimeni lascia il suo paese all’età di 15 anni durante la guerra civile. Fugge e ottiene lo stato di rifugiato nel Regno Unito. Si trasferisce ancora a Londra nel 2001, dove abbraccia le infinite possibilità musicali che la città offre: jam sessions con la band di Roots Manuva, serate open mic insieme a Shingai Shoniwa dei Noisettes e un incontro con una Adele allora adolescente. Ma è l’invito a unirsi ad una band tributo ad Otis Redding nel 2013 a portarlo verso la strada che ancora oggi sta percorrendo. Partecipando come ospite del gruppo funk Speedometer a uno show in Spagna nel 2017, viene notato dalla Tucxtone Records, che da subito capisce di aver trovato l’uomo giusto. È così che ha inizio il suo progetto insieme ai Black Belts – Rodrigo Diaz “Nino” (batteria e percussioni), Pablo “Bassman” Cano, Fernando Vasco “Two guns” (chitarra), Ricardo Martinez (tromba) e Rafael Diaz (sax). Con loro Bimeni registra il suo Free Me, un album che sembra essere una profonda colonna sonora per la sua stessa vita.

L’11 ottobre all’Auditorium Parco della Musica appuntamento con un altro focus musicale che Ref19 dedica alle sonorità extraeuropee tra nomadismi e diaspore, che viaggerà Tra Camerun, Capo Verde e Europa. Sul palco Blick Bassy e il suo album 1958 e Mayra Andrade con il suo ultimo lavoro Manga.

Camerunense di etnia Bassa, Blick Bassy vanta un percorso artistico nel quale mescola influenze africane, latine e americane, chitarre e banjo, violoncelli e tromboni. 1958, il concept album presentato a Roma, è dedicato alla morte, per mano delle forze francesi, di Ruben Um Nyobé, leader anticoloniale che ha lottato per l’indipendenza del Camerun.

Blick Bassy – Cantante e compositore camerunese Bassy è nato nel 1974 ed è cresciuto a Yaoundé, la capitale del Camerun. A 17 anni ha formato la sua prima band dal nome Jazz Crew. Con una seconda formazione dal nome Macase ha pubblicato gli album Etam (1999) e Doulou (2003). Nel 2005 è costretto a lasciare la sua patria e a trasferirsi a Parigi dove lavora come musicista per diverse formazioni prima di ottenere un contratto per la sua prima registrazione da solista. Il suo album di debutto, Léman (che significa “specchio”) è stato pubblicato negli Stati Uniti da Four Quarters il 19 maggio 2009. Due anni dopo, è tornato con Hongo Calling. In quel periodo, si è trasferito a Cantin, un piccolo villaggio nel nord della Francia. Nel 2015 Bassy ha consegnato il suo terzo album per l’etichetta francese No Format, Ha poi trascorso gran parte degli anni successivi viaggiando nel mondo. Uscito nel 2019 per la Tôt ou tard, 1958 è il suo ultimo album.

Altrettanto globetrotter è Mayra Andrade, la musicista di Capo Verde passata per Parigi e stabilizzatasi a Lisbona, considerata l’erede di Cesaria Evora. Manga (mango) il suo quinto album abbraccia il romanticismo occidentale e la sensualità del sud, afrobeat, e suoni tradizionali di Capo Verde per costruire un autoritratto intimo e poetico della stessa artista.

 

Mayra Andrade – Cantautrice capoverdiana ha iniziato il suo percorso nella scena musicale già da adolescente. Non a caso all’età di vent’anni era già un talento affermato, conosciuto sulla scena musicale parigina e acclamato per la sua scrittura appassionata. Nata a Cuba, Mayra, si è trasferita in Senegal, poi in Angola, quindi in Germania, prima di stabilirsi sull’isola nativa dei suoi genitori, Capo Verde. Nel 2002 si è trasferita a Parigi dove ha continuato il suo percorso musicale esibendosi in alcuni dei più prestigiosi locali e festival. La sua reputazione le ha permesso di collaborare con alcuni dei più grandi musicisti internazionali come Charles Aznavour e Césaria Évora. Andrade ha pubblicato il suo primo album da solista nel 2005, intitolato Navega. Oggi vive e lavora a Lisbona ed ha recentemente pubblicato il suo quinto album Manga (Columbia Records), un disco pensato come un autoritratto.

Il 12 ottobre in prima nazionale all’Auditorium Parco della Musica (ore 20) Le Cri du Caire  e Love and Revenge. Il terzo appuntamento di Diasporas ci conduce in Egitto tra poesia, nuove sonorità e la scoperta del cinema e delle commedie musicali dell’epoca d’oro del mondo arabo.

Protagonisti di Le Cri du Caire è Abdullah Miniawy, poeta e cantante, icona di una gioventù egiziana in lotta per la libertà e la giustizia. La sua voce ipnotica si confronta con la tromba di Erik Truffaz, grande figura del jazz europeo, il sax di Peter Corser, le corde del violoncello di Karsten Hochapfel in un live a metà strada tra il rock, la poesia Sufi, il jazz, l’elettronica, sonorità orientali e slam poetry che affronta la repressione politica, sociale e religiosa trascendendo identità e confini.

Abdullah Miniawy è uno scrittore, cantante, compositore, trombettista, sound-designer e produttore del Cairo. Proveniente dal mondo della poesia spoken word, cerca di integrare con il suo lavoro stimoli e discipline differenti nei più svariati progetti: dalla riscrittura del repertorio tradizionale spagnolo, alla fusione di canzoni Sufi e musica elettronica. Instaura numerose collaborazioni nel mondo della musica. Icona della rivoluzione egiziana, Miniawy è oggi impegnato in una lunga tournée europea che lo vede al fianco del celebre jazzista Erik Truffaz.

Nato dall’incontro tra l’hip hop di Rayess Bek, le immagini dell’artista Randa Mirza, l’elettronica di Mehdi Haddab e il basso di Julien Perraudeau, Love and Revenge è una serata electro-pop, omaggio a un’epoca d’oro del mondo arabo: quella del cinema e delle commedie musicali con le loro storie melodrammatiche e sentimentali e quella delle dive e i divi della musica. Il risultato è un divertente remix di canzoni e immagini di film, ponte tra epoche, identità e culture.

Il 15 e il 16 ottobre, al Mattatoio, La Ballata dei Lenna presenta Libya Back Home.

Miriam Selima Fieno, attrice della compagnia, ricostruisce le tracce delle sue origini libiche. Durante la sua ricerca, attraverso i social network, incontra Salem un cugino libico di cui non conosceva l’esistenza, l’iracheno Haidar, ex professore di inglese all’università di Tripoli e Khalifa Abo Khraisse, giornalista, documentarista e corrispondente da Tripoli per “Internazionale” e altre testate sulle quali riporta il conflitto politico in atto nel Paese. Da una vicenda personale si può risalire a una memoria collettiva? Una narrazione autobiografica può diventare un rito pubblico?

La Ballata dei Lenna è un collettivo di ricerca teatrale e produzione teatrale fondato da Nicola Di Chio, Paola Di Mitri e Miriam Fieno che nasce nel 2012 alla Civica Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine, dove i tre attori si formano e si diplomano. Il lavoro di compagnia si concentra sullo studio delle relazioni tra la collettività e il suo quotidiano, nel tentativo di mettere in evidenza i punti di attrito dell’immaginario contemporaneo. L’idea del teatro come una rappresentazione collettiva porta la compagnia alla ricerca e all’uso di una varietà di linguaggi, che vanno dalla centralità dell’attore alla sua scomposizione, dalla parola al movimento, dal suono all’immagine. I tre artisti fondano il loro lavoro in una prospettiva che comprende l’arte dell’autore, il mestiere di interprete e il ruolo di direttore della scena. La compagnia produce spettacoli che circuitano nel panorama nazionale e internazionale. Tra le produzioni Human Animal (2017), Il paradiso degli idioti (2016), Realitaly (2014), Cantare all’amore (2013), La protesta una fiaba italiana (2012).

In occasione della presentazione di Libya Back Home di La Ballata dei Lenna (nell’ambito di Anni Luce), Internazionale costruisce un focus sull’attualità di quest’area geografica. All’appuntamento, il 16 ottobre ore 18.30 al Mattatoio, intitolato “Cartoline da Tripoli” partecipano La Ballata dei Lenna, Khalifa Abo Khraisse e Francesca Sibani.

Khalifa Abo Khraisse, scrittore, giornalista e cineasta libico, è nato nel 1983 a Tripoli-Libia.  Acclamato per il suo cortometraggio documentario Land of Men (2015), collabora con Internazionale, per il quale cura la rubrica Cartoline da Tripoli e realizza reportage tra la Libia e l’Italia. Ha inoltre lavorato con il regista Andrea Segre come consulente artistico nel film L’ordine delle cose realizzando per due anni ricerche all’interno dei centri di detenzione libici, intervistando trafficanti di esseri umani e ufficiali della Guardia Costiera e con Francesca Mannocchi per la stesura del libro Io Khaled vendo uomini e sono innocente.

Francesca Sibani è una giornalista di Internazionale. Dal 2011 è responsabile delle pagine di Africa e Medio Oriente del settimanale. Ha pubblicato articoli su vari periodici e quotidiani italiani.

Photo Credit: ©RomaEuropa Festival – Ahmed Bousnina (per Dridi) – Andrea Macchia (per Libya Back Home)

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