
Per un’Italia interculturale, è già ora
La parola d’ordine è relazionarsi per conoscersi, e poi scoprire che in fondo non siamo così diversi e che le diversità culturali sono un fattore di crescita per la nostra società.
Questi gli obiettivi dell’iniziativa “Un incontro, una storia”, concorso lanciato la scorsa settimana da Caritas Roma, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e con il patrocinio del Comune di Roma, della Città Metropolitana di Roma e della Regione Lazio. (https://www.avanguardiemigranti.it/2019/09/29/un-incontro-una-storia-concorso-caritas-roma/)
Per Ejaz Ahmad, cittadino italo-pakistano nel Bel Paese da 30 anni, mediatore interculturale e giornalista, tra i membri della commissione incaricata di valutare i racconti presentati al concorso della Caritas, “le storie che non si raccontano nel tempo si dimenticano, rappresentano una perdita verbale, scritta o audiovisiva. Questo concorso è un’opportunità per raccontarle, per dare la possibilità ad immigrati ed italiani di interagire nella reciprocità”.
Ad AVANGUARDIE MIGRANTI Ejaz racconta della sua lunga esperienza come mediatore interculturale e delle tante storie raccolte nel suo lavoro giornalistico, anche per “Azad” – mensile in lingua Urdu, edito da Stranieri in Italia – : le badante rumeni, un calzolaio peruviano che gioca a calcetto, una sarta russa di parere opposto al figlio su Putin. “Ogni persona immigrata ha la sua storia da raccontare, ma il più delle volte nessuno gli chiede: chi sei? da dove vieni? qual e la tua qualifica? Così alla fine uno si dimentica. Invece dal momento in cui ti senti integrato, cominci a parlare”. In questa lettura ci sono molte vicende vissute in prima persona da Ejaz, sia quando lui stesso è arrivato a Roma che nel suo lavoro quotidiano.
“In Italia c’è già multiculturalismo: tanti mondi convivono, quelli di cittadini provenienti da 160 paesi diversi. Quello che manca invece è l’interculturalismo, l’integrazione reciproca. Su questo versante l’Italia è molto indietro” sottolinea il giornalista italo-pakistano. “Nel quotidiano colori e culture diverse si incontrano, si scontrano ma non si mescolano. Eppure la mescolanza, il meticciato tra due o più culture non è una minaccia, è bellissimo, è un’opportunità di crescita rispetto all’immobilismo di culture stagnanti” dice con convinzione l’interlocutore. “Un incontro, una storia” potrebbe essere un’occasione per capire usi e costumi, religione, tempi e spazi dell’Altro. “Ognuno di noi vede il mondo con occhi diversi. Per un cittadino pakistano quando piove è una bella giornata e da noi le monsoni sono una benedizione. Invece per un italiano se non c’è il sole non può essere una bella giornata!” conclude Ejaz. Con lui nella commissione altri giornalisti, mediatori interculturali e registi, tra cui Andrea Segre.
“Se avete avuto modo di girare per i quartieri di Roma avrete sicuramente notato che esiste una città reale, caratterizzata da etnie, cibi e culture diverse. Dall’altro lato esiste una città ideale dove non ci sono stranieri, colori, sapori. Per fortuna questo tipo di città monolitica non esiste a Roma. Penso che dobbiamo capire se vogliamo continuare a cercare una città che non c’è o guardare le cose in faccia e accettare una Roma dalla difficile convivenza ma che cerca un incontro”: così don Benoni Ambarus, direttore della Caritas diocesana di Roma nel presentare il concorso, voluto per “umanizzare la città”.
Al centro dell’ambizioso progetto c’è l’invito ad incontrare e raccontare le storie di migrazioni per conoscere innanzitutto le ragioni che spingono a lasciare le terre di origine. Ma vuole anche essere un’opportunità per “conoscere le persone che condividono con noi il loro quotidiano, per riflettere insieme su quei temi universali dell’umano che ci permettono di riconoscerci gli uni negli altri” ha sottolineato don Ambarus. “Ascoltare le storie degli altri dà vita a quello che è il viaggio umano per eccellenza, quello della conoscenza e della comprensione di sé, e contribuisce a creare un patrimonio culturale indispensabile per una società aperta e accogliente” ha proseguito il direttore della Caritas diocesana di Roma, cittadino rumeno, raccontando in prima persona le difficoltà iniziali di integrazione con una cultura diversa. Per don Ambarus, una delle priorità del progetto riguarda i giovani delle seconde generazioni, chiedendosi “come faranno questi ragazzi a dare il meglio di loro stessi se ovunque si girano sentono solo un rifiuto nei loro confronti? Come potranno essere il frutto di questa città se non riusciamo a farci regalare la rosa del loro vissuto profondo? Non possiamo più permettere che vivano il disagio della doppia appartenenza”, ha detto, invitando i cittadini a “creare occasioni affinché questi piccoli possano raccontarsi”.
Per la sindaca Virginia Raggi il concorso “Un incontro, una storia” può contribuire a “superare schemi mentali e pregiudizi cavalcati in questi ultimi mesi” al solo scopo di far vedere nell’altro “un nemico a prescindere, facendoci vivere nella paura”. “Da Roma, città che trova la sua identità e la sua ricchezza nell’accoglienza, parte un messaggio a favore dell’integrazione e dell’inclusione sociale, soprattutto di chi è lontano dalle proprie origini. Abbiamo bisogno di iniziative come questa, che ci invitano al dialogo e all’incontro con l’altro” ha dichiarato la prima cittadina di Roma. Su queste tematiche si dice convinta che “è fondamentale la collaborazione di istituzioni e organizzazioni sociali e di solidarietà per poter essere vicini alle esigenze di tutto il territorio e di difendere i diritti di tutti”.
“La questione migratoria e l’accoglienza vengono erroneamente presentate dalla classe politica come complicate quando in realtà sono complesse. La vera sfida, dunque, nel nostro tempo, quello della globalizzazione, consiste nel comprendere la complessità di tutto, senza scadere in banali semplificazioni”: così Giulio Albanese nel commentare ad AVANGUARDIE MIGRANTI il contesto nel quale si inserisce il concorso della Caritas Roma. Per il missionario comboniano per affrontare nella giusta prospettiva il fenomeno migratorio ci deve essere la volontà politica, ma non solo, di “conoscerne tutta la complessità, sia nelle cause che la generano – guerre sfruttamento delle risorse naturali da parte delle multinazionali, povertà, ecc – che nelle difficoltà sociali, politiche, legislative ed economiche dei Paesi di accoglienza. Solo la profonda conoscenza attraverso un’informazione di qualità è l’unico vero deterrente contro la globalizzazione dell’indifferenza”.
Ma per il missionario-giornalista, la paura dell’Altro, della sua ‘diversità’, mette l’Italia di oggi di fronte ad una sfida culturale ancor prima che politica, cruciale per il presente e per le generazioni future. “E’ giunto il momento di andare al di là del pregiudizio, di sforzarsi e andare ‘all’appuntamento’ del dare e ricevere perché tutti abbiamo un destino comune” insiste padre Giulio, citando le parole di Papa Francesco che “ci invita ad incontrare persone che non sono solo migranti, ma uomini e donne create a immagine di Dio la cui sacralità prescinde dalla razza”. Riprendendo la parabola del Buon Samaritano, il missionario comboniano auspica che con un progetto come questo “i partecipanti riescano ad operare a un vero e proprio decentramento narrativo“, per allontanare il rischio di “creare un cristianesimo esclusivo, che è esattamente l’opposto di quello che il Papa suggerisce”.
Photo Credit: © AVANGUARDIE MIGRANTI (copertina) – Emanuela Campanile – Caritas Roma