
Donne, diritti negati e conflitti a Venezia
Figure femminili in lotta per i propri diritti in scenari quotidiani raccapriccianti, l’orrore dei conflitti – passati e attuali – e la narrazione di un mondo che cambia, confrontato a nuove sfide. Sono questi i temi dominanti della Mostra del cinema di Venezia 2019, ‘Venezia 76 – al via il 28 agosto – sia nella categoria Film in concorso, fuori concorso, Orizzonti e Sconfini.

Film in concorso:
– “The Perfect Candidate” (Arabia Saudita/ Germania) di Haifaa Al Mansour racconta della candidatura inaspettata di una giovane e determinata dottoressa saudita alle elezioni comunali. Una decisione sconvolgente per la sua famiglia e la comunità locale, che si misura con la difficoltà di accettare la prima candidata donna della città.
La regista spiega in questi termini il messaggio lanciato dal suo film: “The Perfect Candidate è incentrato sulla figura di una dottoressa saudita che, sfidando il sistema patriarcale, si candida alle elezioni del consiglio municipale con l’obiettivo di riparare la strada che conduce all’ospedale dove lavora. Attraverso il suo percorso, voglio mostrare una visione ottimista del ruolo che le donne saudite possono ricoprire nella società unitamente al contributo che possono dare nell’atto di forgiare il proprio destino. Voglio incoraggiare le donne saudite a cogliere un’opportunità e a liberarsi dal sistema che ci ha deliberatamente ostacolato così a lungo. Il cambiamento deve necessariamente essere sostenuto e guidato dalle persone che hanno particolarmente bisogno di miglioramenti e di maggiore mobilità nella vita quotidiana. Il significato sottinteso del film ruota attorno alla necessità di celebrare e rendere omaggio alle nostre profonde tradizioni culturali e artistiche e di lasciare che esse guidino gli sforzi necessari a promuovere il processo di sviluppo e di modernizzazione del Paese. Tutte le manifestazioni artistiche pubbliche sono state proibite nella fase moderna di sviluppo del Paese. Ma con la riapertura di sale da concerto, cinema e gallerie d’arte in tutto il Regno, è importante volgere nuovamente lo sguardo alla ricca storia artistica che abbiamo quasi perduto. Esiste musica bellissima e un ricco patrimonio di immagini che dobbiamo riportare in vita, restaurare e rafforzare all’interno della nostra società. Con l’apertura dei cinema e il permesso di guidare concesso alle donne del Regno voglio mostrare lo sforzo immenso che il cambiamento reale comporterà. Le donne avranno l’opportunità di contribuire e partecipare a una società che per generazioni intere le ha estromesse. La parte più difficile per le donne ora è guardare oltre le antiquate convenzioni sociali e i modesti obiettivi che si erano prefissate precedentemente, mandare in frantumi i tabù che le attanagliano e decidere di tracciare nuovi percorsi per se stesse e le loro figlie.”
– “Ema” (Cile) di Pablo Larraín è la storia di una giovane ballerina ambientata a Valparaíso. La protagonista decide di separarsi da Gastón dopo aver rinunciato a Polo, il figlio che avevano adottato ma che non sono stati in grado di crescere. La ragazza va alla ricerca disperata di storie d’amore che l’aiutino a superare il senso di colpa. Ma Ema ha anche un piano segreto per riprendersi tutto ciò che ha perduto. Un film-meditazione sul corpo umano, sulla danza e sulla maternità.

– “Lan Xin Da Ju Yuan” (Teatro Lyceum) (Cina) di Ye Lou. Siamo nel 1941: sin dall’occupazione giapponese, la Cina è terreno di una guerra di intelligence tra gli Alleati e le potenze dell’Asse. La celebre attrice Jean Yu ritorna a Shanghai, apparentemente per recitare in Saturday Fiction, diretta dal suo ex amante. Ma qual è il suo vero scopo? Liberare l’ex marito? Carpire informazioni segrete per le forze alleate? Lavorare per il padre adottivo? O fuggire dalla guerra con il suo amato? Nel momento in cui intraprende la sua missione e diventa sempre più difficile distinguere gli amici dagli agenti sotto copertura, mentre tutto sembra sfuggire al controllo, Jean Yu inizia a chiedersi se rivelare ciò che ha scoperto sull’imminente attacco di Pearl Harbor.
Una storia ispirata ai ricordi d’infanzia del regista, testimone di un evento che cambiò la storia del mondo. Un film che parla del destino di diverse persone negli anni di una complessa crisi mondiale. È anche un dialogo con la cosiddetta Scuola del ‘sabato’, un’importante corrente nella storia della letteratura contemporanea cinese.
– ‘Ji Yuan Tai Qi Hao’ (Hong Kong, Cina) di Yonfan. Negli anni Sessanta, mentre si definisce uno stile di vita materialistico, a Hong Kong emergono anche correnti alternative. Ji yuan tai qi hao narra la storia di Ziming, uno studente dell’Università di Hong Kong combattuto tra i sentimenti che nutre per la signora Yu, una madre in autoesilio da Taiwan negli anni del Terrore Bianco, e la sua bellissima figlia Meiling. Ziming le porta a vedere diversi film e, attraverso i momenti magici catturati sul grande schermo, si fanno strada passioni proibite. L’arco temporale coincide con gli eventi turbolenti vissuti a Hong Kong nel 1967.
E’ la storia di un amore disperato, farcito di ingredienti contraddittori: dentro e fuori, alti e bassi, vizio e virtù, guerra e pace, la bella e la bestia, est e ovest, eterodosso e classico, spirituale e fisico… il tutto mescolato a migliaia di immagini realizzate a mano che costellano l’intera pellicola. “Ji yuan tai qi hao parla soprattutto di me” commenta il regista. “È il mio primo tentativo nell’ambito dell’animazione, perché è solo attraverso questa forma d’arte che posso trasmettere il mio sentimento di “desolazione nello splendore”. È la mia lettera d’amore dedicata a Hong Kong e al cinema. Una storia che parla di ieri, oggi e domani. E soprattutto, è un film che parla di liberazione” ha detto Yonfan.
Film Fuori Concorso:
– “Woman”, di Yann Arthus-Bertrand, Fabienne Calimas, Jean-Yves Robin – Hope Production, è internazionale che dà voce a duemila donne di cinquanta paesi diversi. Nonostante la vastità del progetto, il film propone un ritratto intimo di coloro che costituiscono metà dell’umanità, e getta luce sulle ingiustizie subite dalle donne in tutto il mondo. Lo scopo principale del film però rimane quello di mostrare la forza interiore e la capacità delle donne di cambiare il mondo, malgrado le innumerevoli difficoltà che devono affrontare. Basato su incontri in prima persona, il film tratta argomenti come la maternità, l’istruzione, il matrimonio o l’indipendenza economica, ma anche le mestruazioni e la sessualità. Gli spettatori scoprono così la voce delle donne, come non l’avevano mai sentita prima.

“Alcuni progetti semplicemente capitano, così è stato per Woman. Negli anni 2012-2014, mentre stavamo girando Human, il nostro primo film, ci siamo profondamente appassionati alle testimonianze di alcune donne. Sebbene fossero spesso timide o sospettose prima di essere intervistate, si tranquillizzavano non appena si trovavano davanti alla cinepresa. Le donne avevano bisogno di parlare, ma soprattutto sentivano la necessità di essere ascoltate. Ecco come è nato questo film, quasi due anni prima dello scandalo Weinstein e della nascita del movimento #MeToo. Ciò che ci ha colpito maggiormente è l’incredibile resilienza delle donne, la capacità di rialzarsi contro ogni previsione che sembra insita “nel loro DNA”, come ha spiegato bene una di loro. Fidandosi di noi, queste donne ci hanno anche consegnato una grande responsabilità: fare in modo che le loro voci siano finalmente ascoltate, così che in futuro coloro che rappresentano una metà dell’umanità non siano più considerate ‘il sesso debole’”. Questo il commento dei registi.
– “Mosul” (Usa) di Matthew Michael Carnahan è basato su eventi realmente accaduti. E’ la storia della squadra speciale di Nineveh, un’unità di ex poliziotti che conduce un’operazione di guerriglia contro l’ISIS nel disperato tentativo di salvare la città di Mosul. Dopo che i jihadisti hanno preso le loro case, famiglie e città, un gruppo di uomini lotta per riconquistarle.

A Venezia il regista ha presentato il film in questi termini: “I terroristi dell’ISIS hanno sparato tre volte al colonnello Rayyan, uno dei due comandanti della squadra speciale di Nineveh. Hanno ucciso due dei suoi fratelli, ne hanno rapito un terzo, ucciso i suoi cognati, bombardato la casa di suo padre e sparato a sua sorella durante la sua festa di fidanzamento. Ognuno dei suoi uomini ha una storia simile. Eppure non hanno smesso di combattere una sola volta in cinque anni. In quanto cittadino di un Paese che è stato in guerra con l’Iraq sin da quando ero bambino, mi imbarazza dire che, fino a quando non ho letto l’articolo del New Yorker, The Desperate Battle to Destroy ISIS, su cui si basa il film, non avevo mai pensato all’esistenza di persone come quelle della squadra speciale di Nineveh: uomini che combattono senza sosta, nelle condizioni più infernali, sacrificandosi affinché qualcuno possa recuperare la propria casa e famiglia alla fine di questo incubo. Non avevo neppure finito l’articolo quando chiamai Joe e Anthony Russo per chiedere loro se potevo non solo scrivere l’adattamento per il film, ma anche dirigerlo. Mentre stavano digerendo questa richiesta vagamente ridicola, dal momento che non avevo mai diretto niente, mi spinsi oltre dicendo che l’unico modo in cui vedevo possibile la realizzazione del film era con un cast arabo che parlasse arabo. Quando non riattaccarono, capii di aver incontrato due rare persone che vedevano questo articolo e questa opportunità allo stesso modo in cui li vedevo io: potevamo ispirare lo stesso tipo di reazione che tutti avevamo avuto leggendo questo materiale, raccontando in un film l’orribile ma affascinante storia di questi uomini, nella loro lingua, con attori provenienti dalla loro parte del mondo. Penso che l’abbiamo fatto. E ne sono fiero”.
Orizzonti:
– “Bik Eneich – Un fils” (Tunisia, Francia, Libano, Qatar) di Mehdi M. Barsaoui. Tunisia, estate 2011. La vacanza nel sud del paese termina in tragedia per Fares, Meriem e per il loro figlio di dieci anni, Aziz, che viene colpito per errore durante un agguato. Le lesioni subite cambieranno la vita della famiglia: il bambino ha bisogno di un trapianto di fegato, e ciò porterà alla luce un segreto tenuto a lungo nascosto. Aziz e la relazione tra Fares e Meriem riusciranno a sopravvivere?
“Vivo in una società patriarcale che si basa su valori arabo-musulmani, profondamente radicati nel considerare sacra la figura del Padre. A volte, questi valori limitano la paternità a un legame di sangue, un cognome, una sequenza genetica” ha dichiarato il regista. Bik Eneich – Un Fils non è solamente un film sulla paternità, ma anche sulla coppia, sul suo posto nella società, e sul potere, sia maschile sia femminile. È un viaggio che porta alla verità, verso l’emancipazione.
– “Blanco en Blanco” (Spagna, Cile, Francia, Germania) di Théo Court. Siamo all’inizio del ventesimo secolo, Pedro arriva nella Terra del Fuoco, un luogo violento e inclemente, per fotografare il matrimonio di un potente proprietario terriero di nome Porter. La sua futura moglie, ancora una bambina, diventa l’ossessione di Pedro. Nel tentativo di catturare la sua bellezza, egli rivela le forze del potere che dominano queste terre. La sua rivelazione viene scoperta e Pedro è punito. Impossibilitato a fuggire, viene invece costretto a diventare complice della realizzazione di una nuova società che sorge dal genocidio del popolo Selknam.
“Quando ho visto per la prima volta le foto del massacro del popolo Selknam, perpetrato da Julius Popper nella Terra del Fuoco, mi sono posto innumerevoli domande: chi ha scattato queste foto? Chi ha preso parte a questi eventi come invisibile voyeur?” ha riferito il regista, che ha deciso di documentare la barbarie e la sopravvivenza in condizioni estreme. “Proprietari terrieri assenti che finanziavano l’insediamento forzato delle colonie, la brutalità intrinseca di una società ‘moderna’ organizzata e legittimata. Sullo sfondo di questo universo, ho cercato di trovare un modo per rappresentare questa zona grigia scomoda, contraddittoria e inquietante” ha sottolineato Court.
– “Moffie” (Sudafrica, Regno Unito) di Oliver Hermanus. Sinossi: essere un moffie [checca] significa essere debole, effeminato, fuori legge. È il 1981 e il governo di minoranza bianca del Sudafrica è coinvolto in un conflitto al confine meridionale con l’Angola. Come tutti i ragazzi bianchi che hanno più di sedici anni, Nicholas Van der Swart deve prestare due anni di servizio militare obbligatorio per difendere il regime dell’apartheid. La minaccia del comunismo e “die swart gevaar” (il pericolo nero) sono più vivi che mai. Ma questo non è l’unico pericolo che Nicholas si trova ad affrontare. Deve sopravvivere alla brutalità dell’esercito: cosa che diventa ancor più difficile quando nasce un legame tra lui e un commilitone.
“Il titolo del film è un termine Afrikaans dispregiativo per ‘gay’. Moffie è l’arma sudafricana della vergogna, usata per opprimere i gay o gli uomini effeminati. Quando ti chiamano in questo modo per la prima volta, ti nascondi. Ti cancelli. È il momento in cui, per la prima volta, fingi di essere qualcun altro. Istantaneamente, ti rendi conto di essere visibile. Tutto ciò che sai di questa parola è che significa che sei sbagliato. Durante l’apartheid, proprio come una donna o un uomo di colore, saresti stato una vergogna. E quindi dovevi far sparire, nascondere, uccidere il moffie dentro di te. Questo è un film su come sono stati cresciuti e formati gli uomini sudafricani bianchi per quasi un secolo” ha dichiarato il regista.
– “Hava, Maryam, Ayesha” (Afghanistan) di Sahraa Karimi. Sinossi: tre donne afgane di diversa estrazione sociale, residenti a Kabul, devono affrontare una grande sfida nelle loro vite. Hava, una donna legata alle tradizioni, incinta, della quale non importa niente a nessuno, vive con i suoceri. La sua unica gioia consiste nel parlare con il bambino che ha in grembo. Maryam, una colta giornalista televisiva, sta per divorziare dal marito infedele, il quale scopre che è incinta. Ayesha, una ragazza di diciotto anni, accetta di sposare il cugino, poiché il ragazzo che l’ha messa incinta è scomparso dopo aver saputo della sua gravidanza. Deve pertanto trovare un dottore per abortire e ritrovare la verginità. Per la prima volta, ciascuna di loro deve risolvere il proprio problema da sola.

La regista commenta in questi termini il suo film. “Essendo una regista donna originaria dell’Afghanistan, mi sono ripromessa di raccontare le storie delle mie connazionali che cercano di cambiare la propria vita all’interno di una società tradizionale. Viaggiando in diverse città e villaggi afgani, ho raccolto dal profondo del Paese storie vere di donne come Hava, Maryam e Ayesha. Hava è il prototipo della casalinga afgana, Maryam è una donna colta, un’intellettuale, e Ayesha è un’adolescente della classe media. Tutte stanno tentando di non arrendersi alla società patriarcale che è stata loro imposta. Le decisioni che prendono sono una forma di resistenza a una vita pre-determinata. Il mio obiettivo è quello di raccontare le vite di donne che per molti anni non hanno avuto voce e ora sono pronte a cambiare il proprio destino.”
– “Qiqiu” (Cina) di Pema Tseden. Sinossi: sullo sfondo delle praterie tibetane, Darje e Drolkar conducono una vita semplice e tranquilla insieme ai tre figli maschi e al nonno. Un preservativo scatena momenti di imbarazzo e un autentico dilemma, mettendo a repentaglio l’armonia famigliare. Cosa è più importante nel cerchio della vita e della morte, l’anima o la realtà?
“Qiqiu esplora il rapporto tra realtà e anima. Il popolo tibetano crede nella morte della carne e nella continuazione dell’anima. Quando la fede buddista si scontra con la realtà della società moderna, ci si trova a dover fare una scelta” ha detto Tseden.
– “Verdict” (Filippine, Francia) di Raymund Ribay Gutierrez. Sinossi: Joy vive a Manila con la figlia Angel di sei anni e il marito Dante, un piccolo criminale. Come spesso accade, una sera l’uomo torna a casa ubriaco e picchia la moglie selvaggiamente. Stavolta però, fa del male anche ad Angel. Finalmente, Joy va con la bambina al posto di polizia per denunciare il marito e mandarlo in prigione; scopre tuttavia che la giustizia nel migliore dei casi è lenta, a volte persino impossibile da ottenere. Non senza motivo, sente che lei e la bambina sono sempre più in pericolo.

“La violenza domestica è la forma di abuso più diffusa nelle Filippine. Ho voluto fare un film sull’argomento dopo aver incontrato una donna, sottoposta a un controllo medico legale, che aveva lividi su tutto il corpo. Aveva subito violenza dal marito durante un litigio. Seguendo il suo caso, ho poi scoperto che non aveva continuato l’iter giudiziario perché di fatto impraticabile” ha spiegato Ribay Gutierrez.
– “Metri Shesho Nim” (“Sei milioni e mezzo”) (Iran) di Saeed Roustaee. Sinossi: la città trabocca di drogati, molti dei quali non hanno una casa. Samad, membro della squadra narcotici della polizia, è sulle tracce di un boss della droga, Nasser Khakzad. Dopo varie operazioni, Samad riesce a rintracciarlo nel suo attico, dove l’uomo ha tentato il suicidio. Sopravvissuto, Nasser attraversa tutte le fasi del procedimento legale, fino alla condanna a morte e all’esecuzione, ma Samad si rende conto che a far arrivare Nasser a quel punto sono state anche le drammatiche condizioni sociali in cui si è ritrovato a vivere.
“In Iran si consumano dieci tonnellate di droga al giorno! Come mai si vedono aumentare i tossicodipendenti nonostante gli ergastoli e le sentenze di morte comminate? Come mai la polizia non riesce a mettere le mani sulle figure chiave del narcotraffico? Come mai chiunque, dovunque si trovi, riesce a procurarsi della droga in meno di tre minuti!?” si chiede il regista.
– “Chola” (“Corrente”) (India), di Sanal Kumar Sasidha. Sinossi: la giovane Janaki e il suo gracile amante visitano la città all’insaputa della madre di lei. Il ragazzo ha organizzato la gita con l’aiuto del suo capo, un uomo arcigno, che dice a Janaki di sapere che ha mentito alla madre. Il trio arriva in città in macchina e i ragazzi, affascinati dalle luci, dai centri commerciali e dalla spiaggia, perdono la cognizione del tempo e sono costretti a trascorrere la notte in un motel spartano in cui ha inizio l’incubo. Un magico ritratto realistico dei crescenti problemi dell’India.
“Chola tenta di indagare l’idea, presente in questa cultura, che l’uomo abbia un diritto acquisito sulla donna, e le convinzioni che a sua volta la donna ha sugli uomini. Gli uomini presenti in Chola tentano di dominare la giovane Janaki sia offrendole un amore puro sia conquistandola fisicamente e psicologicamente attraverso un’aggressione sessuale. Eppure Janaki, convinta che gli uomini vogliano proteggerla, si impone di obbedire ai maschi dominanti” ha spiegato il regista. Con il suo film spera che “questi personaggi facciano sorgere degli interrogativi su come funzionano le dinamiche di genere nella pratica”, spingendo gli uomini a “capire i propri limiti e pregiudizi che impediscono di comprendere l’universo femminile” e stimolando una discussione sul tema.
Orizzonti Corti:
– “Roqaia” (Afghanistan, Bangladesh) di Diana Saqeb Jamal. Sinossi: dopo essere sopravvissuta a un attentato suicida, la dodicenne Roqaia si ritrova nel mezzo del clamore mediatico, mentre affronta il suo trauma in completa solitudine.
Pungente il commento della regista sul corto. “Trovo che il sorriso innocente di un bambino sia la cosa più bella del mondo. Ma nel momento in cui un bambino afgano apre gli occhi, il suono della morte sostituisce la ninna nanna della madre. Il non poter fare niente per cambiare questa situazione mi fa sentire impotente. Mentre giravamo Roqaia, nelle vie di Kabul è esplosa la violenza e tutte le strade sono state chiuse. Così, nel bel mezzo delle riprese, abbiamo dovuto cambiare il copione, la location e anche i personaggi. Per me, in quanto regista afgana, ogni momento in cui sono viva e posso raccontare le storie del mio paese e della mia gente è un momento estremamente significativo. Mi rendo conto di quanto sia fortunata semplicemente a essere viva: per questo voglio sfruttare al meglio ogni istante della mia vita”.
– “Darling” (Pakistan, Usa) di Saim Sadiq. Sinossi: Un teatro di danza erotica a Lahore si prepara per un nuovo spettacolo proprio mentre una capra sacrificale scompare, un’attraente ragazza trans ambisce ad accaparrarsi le luci della ribalta e un giovane ingenuo s’innamora.
“Darling è liberamente ispirato al lungometraggio cui sto lavorando: Gulaab. Infatti, entrambi esplorano la mascolinità e la femminilità presenti nella sottocultura fortemente sessualizzata della danza erotica: fatto risaputo e tollerato nell’altrimenti repressiva società pakistana. Darling è, in parti uguali, una storia di formazione, la celebrazione della cultura queer e una lettera d’amore al sogno di Bollywood” ha spiegato Sadiq.
– “Fiebre Austral” (Cile), di Thomas Woodroffe. Sinossi: Amanda, una donna di 46 anni, cortese e sola, vive con il figlio sedicenne Daniel nelle montagne del Cile meridionale. Octavio, amico e coetaneo di Daniel, si ferisce in un incidente di caccia nel bosco. Amanda si occupa del suo percorso di guarigione e tra loro si sviluppa un legame intimo. Scoprono che il contatto con la ferita produce un piacere che crea dipendenza.
“Fiebre Austral è una ricerca ricca di atmosfera con la quale cerco di capire cosa accade in quello spazio magico che si trova tra piacere e dolore. È un film che esplora il corpo e la percezione personale dei limiti della sensibilità. Si ispira all’opera pittorica di mia zia Carmen, che è violenta, seducente, statica, sessuale e scandalosa. Per me, in Fiebre Austral c’è tutto questo” ha commentato il regista.
Sconfini:
– “Les épouvantails” (Tunisia, Marocco, Lussemburgo) di Nouri Bouzid. Sinossi: alla fine del 2013, Zina e Djo, entrambe ventenni, fanno ritorno in Tunisia dal fronte siriano dove sono state sequestrate e stuprate. Mentre Zina è stata separata dal suo bimbo di due mesi, Djo sprofonda nel mutismo quando scopre di essere incinta, riuscendo a raccontare la sua terribile esperienza siriana esclusivamente attraverso il libro che sta scrivendo. L’avvocato tunisino Nadia e la dottoressa Dora, volontaria di un’associazione umanitaria, le assistono nel lungo e travagliato processo di ricostruzione, ostacolato dalla violenza del loro entourage, dall’atteggiamento intransigente verso i social network e dall’angoscia che le attanaglia. Nadia è anche l’avvocato di Driss, un ventunenne omosessuale perseguitato, che è stato bandito da tutte le istituzioni scolastiche. Nadia gli chiede di aiutare Zina nella speranza che questo loro toccante incontro permetta a entrambi di aprire le rispettive ‘scatole nere’, supportarsi e affrontare le ingiustizie della società.

Questo il commento del regista: “Volevo realizzare questo film come testimonianza del periodo buio che la Tunisia ha vissuto durante il regime islamico dopo l’ultima rivoluzione. Il mio obiettivo è rompere il muro di silenzio che ha avvolto le vittime e il loro isolamento e, allo stesso tempo, fare luce su questi avvenimenti. Ho colto l’opportunità di abbattere i muri che circondano questa storia dal 2013. Les épouvantails è un grido contro l’oblio che avvolge le vittime, simbolo della coscienza sporca della nostra nazione. Grazie ai giovani produttori che hanno lavorato con me, questo film mi ha permesso di ritrovare nuovamente la vita nel cinema”.
– “Beyond the beach. The Hell and the Hope” (Regno Unito) di Graeme Scott e Buddy Squires. Sinossi: il film entra nel quotidiano dei medici e degli infermieri che hanno rinunciato alla loro vita di tutti i giorni per lavorare in luoghi devastati dalla guerra per l’organizzazione non governativa Emergency. Fondata nel 1994 dal chirurgo di guerra Gino Strada, il team di Emergency ha aiutato a salvare oltre nove milioni di vite in tutto il mondo. Dai feriti di guerra di Kabul ai malati nei campi di rifugiati iracheni, all’assistenza sanitaria sulle navi di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, lo staff di Emergency rifiuta di stare a guardare, quando invece può ‘fare qualcosa’. Vediamo le loro risate, le lacrime e, a volte, le frustrazioni mentre compiono cose che pochi altri hanno il coraggio di fare. Assistiamo alle loro difficoltà e allo stress mentre continuano il loro lavoro senza perdere speranza…

Questo il commento di Gramme Scott: “Vivendo un’epoca in cui siamo inondati da notizie 24 ore su 24 e in cui costantemente controlliamo i feed dei social media, siamo esposti all’informazione come mai prima e spesso crediamo di capire le guerre, i conflitti e le traversie dei rifugiati. Fare questo film, però, per me ha significato evidenziare l’abisso esistente tra ciò che pensiamo di sapere e la realtà delle esperienze degli altri. Insieme a Buddy Squires, uno straordinario direttore della fotografia e mio co-regista, abbiamo cercato di cogliere l’essenza di ciò che significa vivere una situazione spesso ridotta a una notizia di poche righe. Siamo stati testimoni diretti di dolore e sofferenza in circostanze tragiche e dell’umiltà e della gentilezza eccezionali delle persone che lavorano con Emergency, che si consacrano ad aiutare chi ne ha bisogno”.
Photo Credit: © Biennale