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“Zero”, la storia dei ragazzi neri italiani

In arrivo nel 2020 su Netflix il primo progetto italiano incentrato sui ragazzi neri italiani con una serie direttamente ispirata all’ultimo romanzo dello scrittore Antonio Dikele Distefano. “Zero” è il titolo della serie che, sulla carta, dovrebbe operare un cambio di narrativa: una storia a puntate che racconterà cosa significa essere nero in Italia dal punto di vista dei protagonisti, che saranno tutti di origine afrodiscendente e ‘straniera’.

Genitori angolani ma cittadino italiano, a 27 anni ha già pubblicato cinque libri con la Mondadori, tra cui il suo penultimo romanzo “Non ho mai avuto la mia età” (2018) che ha ispirato la sceneggiatura di “Zero”. La trama verterà su una dinamica molto delicata per il nostro paese: la vita di ragazzi neri italiani. Dai 7 ai 18 anni la vita di Zero in un quartiere di periferia milanese è un susseguirsi di esperienze tra il consueto – formazione, svezzamento, anni difficili, maturazione sessuale – e l’insolito – essere nero in Italia, avere genitori appartenenti ad un’altra cultura.

“Zero è un ragazzo speciale, un ragazzo nero, che ha un super potere, grazie al quale può conoscere la realtà delle cose, delle relazioni e delle persone, che si nasconde sempre dietro le apparenze. Per me, per un ragazzo nero e italiano come Zero, che deve tutto all’Italia, la cosa più bella è che questa sarà la prima serie nella quale i protagonisti saranno dei ragazzi neri italiani. Spero che questo possa aprire una porta a quegli attori, creativi e artisti neri che non hanno avuto ancora un’occasione importante. Spero che questa storia rifletta quella di tanti ragazzi, a prescindere dal loro colore” ha dichiarato Dikele Distefano dopo l’annuncio della messa on-line della serie l’anno prossimo.

Evidentemente “Zero” nasce con l’intento di essere uno sguardo diverso sul nostro paese, ma è anche, indirettamente, una maniera di porre l’accento su quello che sta lentamente cambiando nell’industria. Come nel resto dei settori anche al cinema e in televisione infatti gli italiani di seconda generazione guadagnano terreno con una fatica mai proporzionale al risultato.

Sono molto spesso selezionati per produzioni straniere che girano in Italia, in proporzione più che per produzioni solo italiane. La percezione di un paese multirazziale è scarsissima e in un circolo vizioso questa porta alla scarsa propensione ad un casting diversificato.

Il filone di una narrazione meno ‘italiano centrata’ non è recente: nel 2009 Claudio Noce aveva diretto “Good Morning, Aman”, scoprendo Amin Nour, attore di origine somala, molto attivo nella ricerca di una strada in tv e al cinema per professionisti non bianchi. Dello stesso anno il documentario di Claudio GiovannesiFratelli d’Italia”, che raccontava di ragazzi seconda generazione; con uno di questi ha poi realizzato “Alì ha gli occhi azzurri” (2012), film di finzione che racconta molto bene il contrasto e le difficoltà di una persona con radici in una cultura e la vita in un’altra. Nel 2016 Suranga Deshapriya Katugampala ha diretto ed interpretato “Per un figlio”, storia di un ragazzo seconda generazione e del rapporto con sua madre, una donna srilankese di mezz’età e sunnita. Nei mesi scorsi Phaim Bhuiyan ha scritto, diretto e interpretato “Bangla”, che prende il tema in maniera più leggera facendo una commedia sentimentale interraziale.

La serie “Zero” è la terza collaborazione con Netflix che interessa l’Italia. Una scelta coraggiosa in un mondo dello spettacolo conformista, che ha relegato attori di etnie diverse a (quasi) soli ruoli stereotipati. La prima in assoluto è stata “Suburra”, riprendendo le fila dell’iconica Romanzo Criminale, seguita da “Baby”, che affronta lo scandalo delle baby squillo nel quartiere Parioli di Roma, portando alla luce tematiche forti e importanti.

Photo Credit: © Facebook Antonio Dikele Di Stefano

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