
Addio a Toni Morrison, prima afroamericana a vincere Nobel
Si è spenta una delle voci più importanti della letteratura americana del ‘900, prima donna africana a ricevere il Nobel per la letteratura nel 1993. Toni Morrison, all’anagrafe Chloe Anthony Wofford, 88 anni, è deceduta in un ospedale di New York e poco dopo l’annuncio della sua scomparsa sono giunti decine di messaggi di omaggio. “Che regalo respirare la sua stessa aria, anche se solo per poco” ha twittato l’ex presidente americano Barack Obama, appassionato del suo ‘Canzone di Salomone’ che parla di lei come di un “tesoro nazionale”, la cui scrittura “bella e una sfida significativa alla nostra coscienza e alla nostra immaginazione morale”.
Nata nel 1931 in una famiglia operaia di Lorain (Ohio), dove i suoi genitori si erano stabiliti in fuga dal razzismo dilagante nell’Alabama nonostante la fine della schiavitù. Lettrice appassionata sin dalla tenera età, Toni era cresciuta ascoltando le storie della tradizione orale afroamericana raccontate dal padre, che poi diventarono uno degli elementi centrali della sua narrativa. La necessità di tramandare una letteratura afroamericana che altrimenti sarebbe andata perduta è stata una delle tematiche centrali della sua opera. Studi alla storica università nera Howard a Washington, insegnante di inglese, matrimonio con l’architetto giamaicano Harold Morrison, madre di tre figli cresciuti da soli dopo la separazione, trasferimento a Syracuse e poi a New York, nei primi anni ’60: questi i momenti salienti della sua vita.

Approdata nella Grande Mela come editor per la casa editrice Random House, la Morrison incoraggiò e scoprì diversi autori afroamericani, tra cui Toni Cade Bambara e il poeta Henry Dumas. Fu anche l’editor di alcuni libri che hanno contribuito a formare l’immaginario di intere generazioni black, tra cui l’autobiografia di Angela Davis, nel 1974, e “The Greatest: My Own Story” di Muhammad Ali l’anno dopo. Fu sempre lei a volere “The Black Book”, un volume che raccontava la vita degli afroamericani attraverso saggi, fotografie, citazioni del poeta Henry Dumas. Tutto il suo lavoro editoriale fu un contributo alla lotta per i diritti civili, quindi in molti sensi, un lavoro politico.
Il suo debutto letterario all’età di 40 anni con “L’occhio più azzurro” (The Bluest Eye) in cui narra la storia di una bambina nera, cresciuta in povertà e abusata dal padre, che sogna di avere gli occhi azzurri per somigliare ai bianchi. Libro con il quale comincia ad indagare sul tema dell’identità, dell’appartenenza alla comunità nera, del razzismo che porterà avanti anche nei successivi romanzi.

In Italia pubblicati da Frassinelli, esplorano la paura dell’altro, la questione dei confini, dei movimenti di massa delle popolazioni e ci mettono davanti a questioni irrisolte che sono tutt’ora al centro del dibattito politico internazionale. “Sula”, “L’isola delle Illusioni”, “Jazz”, “Giochi al buio”, “Canto di Salomone”, “Paradiso”, “Amore”, “A casa” e “Prima i bambini” del 2016 sono alcuni dei suoi titoli di maggiore successo oltre a “Beloved” (“Amatissima”), che nel 1988 le valse il premio Pulitzer.
Libro dopo libro contribuì ad espandere l’immaginazione, la conoscenza e la comprensione di cosa significava essere donna e nera negli Stati Uniti, trasformando i suoi racconti in una riflessione universale sul potere, sulla disuguaglianza, quella che uno vive sulla propria pelle, quella derivante dallo sguardo degli altri su se stessi.
Nel 2012 è stata insignita da Obama della Presidential Medal of Freedom, il più alto riconoscimento civile negli Stati Uniti. “Quando è stato eletto Obama si pensava fossero finiti certi pregiudizi ma il passato continua a ripresentarsi”, diceva la Morrison durante il suo intervento al Festivaletteratura di Mantova lo stesso anno. “Non siamo una società post razziale. Il razzismo è un cancro che non si può estirpare con diverse medicine. Per trovare una risposta deve cambiare qualcosa dentro di noi” spiegava colei che ha smascherato banalità e luoghi comuni sulla razza e il razzismo.
Nel suo ultimo libro uscito in Italia nel 2016, “L’origine degli altri” la Morrison spiegava: “mi interessava la rappresentazione dei neri attraverso la cultura piuttosto che attraverso il colore della pelle”. Nel volume, che raccoglie un ciclo di conferenze tenute ad Harvard nel 2018, con la prefazione dello scrittore Ta-Nehisi Coates e l’introduzione all’edizione italiana di Roberto Saviano, la scrittrice aveva compiuto un lungo viaggio, che in parte è anche un suo ritratto, in cui s’interrogava su che cosa è la razza, e perché le diamo tanta importanza, su che cosa spinge gli esseri umani a costruire “un altro” da cui differenziarsi e su perché il colore della pelle abbia avuto nella storia un peso così negativo. E come dice nella prefazione Ta-Nehisi Coates non si occupava “direttamente dell’ascesa di Donald Trump. Ma è impossibile leggere le riflessioni dell’autrice sull’appartenenza, su chi è protetto dall’ombrello della società e chi invece non vi trova posto, senza considerare il momento presente”.
“Ha regalato ogni iota del suo talento americano al Grande sogno americano. Non quello delle armi e delle bombe, ma l’altro: quello della pace, della giustizia, dell’armonia razziale, della letteratura, della musica e della lingua. Quello che ci mostra come essere liberi se ci avvolgiamo in esso” ha commentato lo scrittore e regista James McBride in merito alla sua raccolta “The Source of Self Regard”, con parole che ora suonano come un elogio postumo.
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