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I colori dell’Africa alla Biennale di Venezia

May You Live In Interesting Times” (“Possa tu vivere tempi interessanti”): è il titolo della 58ma esposizione internazionale d’Arte di Venezia, in corso fino al 24 novembre.

Una scelta che richiama un’espressione della lingua inglese a lungo erroneamente attribuita a un’antica maledizione cinese, che evoca periodi di incertezza, crisi e disordini; “tempi interessanti” appunto, come quelli che stiamo vivendo. La Biennale è curata da Ralph Rugoff, attuale direttore della Hayward Gallery di Londra.

La Mostra si articola tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale, includendo 79 partecipanti da tutto il mondo.

L’Africa, l’Asia, l’America latina e il Medio Oriente sono rappresentati con più di 35 padiglioni. Per l’Africa, il Ghana e il Madagascar sono i due paesi presenti per la prima volta, accanto ad altri sei (Costa d’Avorio, Egitto, Mozambico, Seychelles, Sudafrica e Zimbabwe)

Ecco i colori del continente alla Biennale di Venezia presentati dagli stessi organizzatori dell’esposizione internazionale:

COSTA D’AVORIO: “The Open Shadows of Memory”.

Le ombre aperte della memoria, presenta opere che parlano di madre terra come raccoglimento della memoria dell’umanità. Il commissario del Padiglione è Henri Nkoumo, critico d’arte e Direttore delle arti plastiche e visuali al Ministero della Cultura e della Francofonia della Costa d’Avorio, il curatore è Massimo Scaringella, curatore indipendente riconosciuto per il suo intenso interscambio con paesi extraeuropei.

Sede: Castello Gallery, Castello 1636/A. Espositori: Ernest Dükü, Ananias Leki Dago, Valérie Oka, Tong Yanrunan.

Ernest Dükü opera alle frontiere della pittura, della scultura e dell’installazione, attorno alla nozione di “mascherata”. Il ragno, eroe dei racconti in Africa, è lo zoccolo filosofico delle sue creazioni. Le metafore delle sue opere fanno da specchio per permettere allo spettatore di interfacciarsi sulle questioni del suo mondo articolato. Ernest Dükü è nato nel 1958 a Bouaké (Costa d’Avorio), vive e lavora tra Abidjan e Parigi (http://www.ernest-duku.com)

Ananias Léki Dago, fotografo, opera all’antica. Porta la macchina fotografica lungo le strade africane e ci regala una visione del mondo in bianco e nero. Il suo lavoro racconta le dimenticanze e le aspirazioni controverse delle nuove generazioni africane. Ananias Léki Dago è nato nel 1970 ad Abidjan, vive e lavora tra la capitale ivoriana e Parigi.

Valérie Oka, ricorre al disegno, alla fotografia, alle installazioni per raccontare con grande foga gli eroi dimenticati della sua terra e le bellezze spente dell’Africa. Sottolineando le immagini con tratti inseriti a mano che ricordano i gesti degli avi che leggevano il loro futuro sulla sabbia. Valérie Oka è nata nel 1967 ad Abidjan, dove vive e lavora (http://www.valerie-oka.com)

Tong Yanrunan con i suoi ritratti pittorici che vanno oltre il realismo fa emergere una memoria dell’umanità senza far trapelare sentimenti o differenze sociali lasciando la libertà allo spettatore di incontrare il suo proprio “Alter ego”. Tong Yanrunan è nato a Jiujiang (Cina), vive e lavora a Hangzhou (http://tongyanrunan.com)

Sul padiglione della Costa d’Avorio alla Biennale di Venezia, gli organizzatori dell’esposizione internazionale riferiscono che “The Open Shadows of Memory” ci parla della Madre Terra intesa come una raccolta dei ricordi dell’umanità; è un luogo in cui le opere di Ernest Dükü sono lo specchio che permette allo spettatore di rapportarsi alle tematiche del suo mondo articolato e composito. Ananias Léki Dago fotografa le strade africane e ci regala una visione del mondo in bianco e nero, che racconta gli errori e le aspirazioni controverse delle nuove generazioni. Valérie Oka narra le storie degli eroi dimenticati della sua terra e delle bellezze ormai scomparse dell’Africa, enfatizzando le immagini con disegni realizzati a mano. Tong Yanrunan, con ritratti pittorici che vanno oltre il realismo, svela la memoria dell’umanità senza far trapelare sentimenti o differenze sociali, lasciando così allo spettatore la libertà di incontrare il proprio alter ego.”

EGITTO: “Khnum across times witness”

Commissario: Ministero della Cultura. Curatore: Ahmed Chiha. Espositori: Islam Abdullah, Ahmed Chiha, Ahmed Abdel Karim. Sede: Giardini.

Guardando alle parole del titolo dell’allestimento del padiglione, la parola KHNUM indica l’annuale inondazione del Nilo che assieme a limo e argilla porta vita a tutto ciò che la circonda. Fenomeno che veniva rappresentato da un vasaio con testa d’ariete al tornio e dal vaso sgorga acqua. A questo principio di vita guardano gli artisti chiamati a realizzare la mostra del padiglione Egitto.

Sul padiglione dell’Egitto alla Biennale di Venezia, gli organizzatori dell’esposizione internazionale riferiscono che “Che tu possa vivere in tempi interessanti, partendo dal presente per cercare l’essenza delle epoche passate. Nella nostra ricerca ci siamo imbattuti in persone che seppero esistere e coesistere pacificamente. La loro civiltà collegava la Terra al Cielo, e insegnò la pazienza, la saggezza e la contemplazione. Insegnò i segreti di tutti i rami del sapere, dalla medicina all’ingegneria, dalla mummificazione all’astronomia. Gli abissi del passato ci hanno inviato un messaggero perché narrasse gli eventi di cui il mondo è stato testimone. Il messaggero inviato è Khnum, fidato guardiano dei segreti del tempio e narratore della storia. Quando Khnum chiama, solo i saggi pensatori odono le sue invocazioni. Quando sentiamo la sua voce, sul suo viso scorgiamo il riflesso di ciò che è stato visto e vissuto lungo la strada densa di avvenimenti di cui è custode.”

MOZAMBICO (Repubblica del): ”The Past, the Present and The in Between”

Commissario:  Domingos do Rosário Artur. Curatore: Lidija K. Khachatourian. Espositore: Gonçalo Mabunda, Mauro Pinto, Filipe Branquinho. Sede: Palazzo Mora, Strada Nova, 3659.

Il padiglione del Mozambico è dedicato alla sua storia recente e al suo passaggio doloroso attraverso la guerra civile che ha occultato gli anni tra il 1976 e il 1992. Questo viaggio lungo il suo passato, attraverso una visione dell’arte contemporanea, è stato realizzato grazie al talento e alle opere di tre artisti che sono cresciuti nel periodo post-coloniale. Gonçalo Mabunda, Mauro Pinto e Filipe Branquinho hanno sviluppato per questa mostra diversi concetti di arte che si fondono nella domanda unica su come il potere politico oggi possa influenzare negativamente la gente del Mozambico. In questo modo lo spettatore sarà mosso dagli spazi e lavora per creare un’intensa riflessione sulla corruzione, l’ingiustizia sociale e la violenza che vanno oltre una semplice esperienza di arte estetica. L’arte contemporanea del Mozambico continua così a essere un veicolo di messaggio sociale importante come lo è sempre stato dall’epoca coloniale e dal decennio dopo l’indipendenza, quando ben conosciuti artisti del paese hanno cominciato a usare la loro arte per produrre un processo critico per il politico, processi che stavano avvenendo.

Sul padiglione del Mozambico alla Biennale di Venezia, gli organizzatori dell’esposizione internazionale riferiscono che “lo scopo del padiglione è mostrare, attraverso una prospettiva contemporanea, il passato turbolento del paese e come esso influenza la società odierna. Lavorando con media diversi, Gonçalo Mabunda, Mauro Pinto e Filipe Branquinho trasformano la mostra in una conversazione dialogica sulla violenza, sulla corruzione e sull’ingiustizia sociale. Cresciuti nell’epoca post-coloniale, durante la quale il Mozambico fu scosso da una lunga guerra civile, gli artisti esplorano la politica e la cultura popolare contemporanee con un tono poetico e talvolta scherzoso. Attenti a ciò che accade attorno a loro, come pure alle dimensioni più profonde dell’esperienza umana, le loro opere risvegliano le nostre sensazioni più empatiche.”

SEYCHELLES (Repubblica delle): “Drift”

Commissario: Galen Bresson. Curatore: Martin Kennedy. Espositore: George Camille and Daniel Dodin. Sede: Palazzo Mora, Strada Nova, 3659.

Due sale di Palazzo Mora per due artisti impegnati in una riflessione sociale sulla contemporaneità, sui limiti alla libertà autentica, individuale e collettiva, in società condizionate dalla forza della comunicazione e anche dallo sfruttamento. Camille si esprime dunque attraverso la rappresentazione di uno Tsunami di carta, che trasmette messaggi sul modo in cui il pubblico acquisisce e percepisce le informazioni dai messaggi stessi. Dodin, invece, attraverso la presentazione del viaggio alle Seychelles raccontato con film d’archivio miste ad immagini dell’odierna quotidianità

Sul padiglione delle Seychelles alla Biennale di Venezia, gli organizzatori dell’esposizione internazionale riferiscono che “Drift invita a considerare una combinazione di componenti visive e auditive che si traducono in una serie di domande: Come facciamo a sapere ciò che sappiamo? Dov’è la verità? Una cosa può essere sia giusta che sbagliata? Siamo incapaci di determinare (o persino riconoscere) la realtà? La vita è migliore ora rispetto a (scegli la tua risposta)? Gli artisti George Camille e Daniel Dodin condividono le loro idee attraverso due installazioni separate ma complementari. Insieme dicono cose che forse già sappiamo, ma che scegliamo di ignorare. Cose che ci inducono a dubitare del nostro senso di individualità e autodeterminazione. ‘Autoillusione, anzi…’, sembrano sussurrare.”

SUDAFRICA (Repubblica del): “The stronger we become”

Commissario: Titi Nxumalo, Console Generale. Curatori: Nkule Mabaso, Nomusa Makhubu. Espositori: Dineo Seshee Bopape, Tracey Rose, Mawande Ka Zenzile. Sede: Arsenale.

Forza e resilienza entreranno in risalto quando il collettivo di curatori acclamato dalla critica, Nkule Mabaso e Nomusa Makhubu, si uniranno a un team di artisti visivi composto da tre membri, Dineo Seshee Bopape, Tracey Rose e Mawande Ka Zenzile per rappresentare il Sudafrica.

Il tema scelto – “The Stronger We Become” –  risponde adeguatamente ai molti aspetti precari dei 25 anni del paese nella nuova dispensazione: la transizione pacifica del Sudafrica verso la democrazia, la capacità delle persone di superare le sfide e tracciare un nuovo percorso. Sia Mabaso che Makhubu concordano sul fatto che sono da molto tempo venuti ad ammirare le opere di Bopape, Rose e Ka Zenzile che sono in prima linea nel “criticare la vita contemporanea e le esperienze vissute in Sudafrica” dai suoi cittadini. “Volevamo lavorare con artisti che ci aiutassero a raggiungere un particolare modo di pensare e adattarsi allo scopo curatoriale scelto. Siamo fiduciosi che siano nella posizione migliore per articolare questi ideali “, hanno detto i curatori durante la recente tavola rotonda.

Conosciuta per i suoi video montaggi sperimentali, installazioni scultoree, dipinti e oggetti trovati, Dineo Seshee Bopape porta il suo intuito intuitivo che trasforma gli spazi in arene meditative mentre esplora temi di narrativa storica, narrativa e narrativa personale. Tracey Rose, che non è estranea a Venezia, dopo aver presentato il suo lavoro come parte del Plateau de l’Humanite di Harald Szeemann, 49a Biennale di Venezia (2001), attraverso la sua performance e la presentazione ispirata al multimedia cerca di riflettere e confrontarsi con le molte assurdità della vita contemporanea nel post-apartheid in Sudafrica. Mawande Ka Zenzile prospera nel confronto dei problemi del colonialismo con un corpus di opere che attinge dall’epistemologia africana. La sua pratica creativa si impegna su come funziona la conoscenza. Usando indovinelli, idiomi e proverbi, Ka Zenzile sonda diverse visioni del mondo, epistemologie, modi di apprendimento, conoscenza e vita. Gli artisti affronteranno questi temi esplosivi attraverso il loro uso dell’umorismo e della satira, ponendo la domanda: come sono mediate le disparità sociali? Come possono essere superate determinate condizioni sociali? In che modo l’impegno sociale continuo rafforza la resilienza sociale? In sostanza, la mostra cerca di mostrare i molti lati di una storia e una pluralità di conoscenze.

Quest’anno i curatori esploreranno i temi della resilienza e della resistenza, che derivano dalla dolorosa storia del Sudafrica di espropriazione della terra, conoscenza istituzionale, rapporti di potere egemonici squilibrati che oggi continuano a giocare nello spazio sociale e politico. Secondo i curatori, il titolo della mostra trae anche il suo riferimento dalla canzone, (Something Inside) So Strong, scritta da Labi Siffre nel 1984 e cita la sofferenza dei neri sudafricani sotto l’apartheid. La partecipazione del Sudafrica alla Biennale di Venezia è resa possibile dal Dipartimento di Arte e Cultura. Obiettivo del Padiglione è quello di “catturare la forza d’animo collettiva dei sudafricani”: “mentre il Sudafrica rimane una società frammentata con un fragile panorama politico, c’è ancora chi si riflette in opere di artisti che alimentano la resistenza sociale”, hanno dichiarato i curatori.

Sul padiglione del Sudafrica alla Biennale di Venezia, gli organizzatori dell’esposizione internazionale riferiscono che “The Stronger We Become mira a presentare un dibattito visivo sfaccettato sulla resilienza sociale. Il titolo incarna la natura resistente dello spirito del Sudafrica e del suo popolo, oltre che del suo sistema economico e politico. Gli artisti Dineo Seshee Bopape, Tracey Rose e Mawande Ka Zenzile sono stati appositamente selezionati per presentare una visione dello spirito socio-politico del Sudafrica odierno, facendone emergere la natura profondamente dialogica. Le pratiche collettive degli artisti generano conversazioni sulla resilienza sociale che possono stimolare ragionamenti critici sul punto di partenza, sulla situazione attuale e sulla direzione futura della nostra nazione. La mostra vuole presentare le modalità con cui gli artisti danno prova di resilienza e resistenza, due concetti correlati.”

ZIMBABWE (Repubblica dello): “Soko Risina Musoro (The Tale without a Head)”

Commissario: Doreen Sibanda, National Gallery of Zimbabwe. Curatore: Raphael Chikukwa. Espositori: Georgina Maxim, Neville Starling, Cosmas Shiridzinomwa, Kudzanai Violet Hwami. Sede: Istituto Provinciale per l’Infanzia “Santa Maria Della Pietà”.  Calle della Pietà Castello n. 3701 (piano terra).

Kudzanai Violet Hwami, Neville Starling, Georgina Maxim e Cosmas Shiridzinomwa sono gli artisti che rappresentano lo Zimbabwe alla Biennale di Venezia, con la curatela di Raphael Chikukwa. “Il padiglione dello Zimbabwe a Venezia è stato determinante per inserire l’impronta del paese in modo coerente nelle conversazioni globali sull’arte contemporanea”, ha dichiarato Doreen Sibanda, Commissario del Padiglione dello Zimbabwe. Soko Risina Musoro è il titolo del poema epico di Herbert Chitepo cui si ispira il Padiglione e che riflette il tema della Biennale May You Live in Interesting Times.

Sul padiglione dello Zimbabwe alla Biennale di Venezia, gli organizzatori dell’esposizione internazionale riferiscono che “La mostra presentata alla 58ma Esposizione Internazionale d’Arte parla di storie attuali e dell’esperienza umana nel mondo. La risoluzione dei conflitti è diventata Soko Risina Musoro (Il racconto senza testa), eppure i conflitti ci sono da tempi immemorabili. Sono un pericolo per lo sviluppo umano e si manifestano in forme diverse. È per questo che oggi il mondo è in crisi: il ruolo e la funzione dell’arte contemporanea consistono quindi nel portare il dialogo verso i paesi d’origine.”

Photo Credit: © 58ma esposizione internazionale d’Arte di Venezia

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