
A Torino la “Terra Promessa” di Armitage
Si intitola “The Promised Land” la prima personale in Italia dell’artista anglo-kenyota Michael Armitage, che dipinge sulle cortecce, vive e lavora tra Nairobi a Londra. La mostra, visitabile fino al 26 ottobre alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, include lavori esistenti insieme a nuovi dipinti, prodotti specificamente per l’occasione.
Nei suoi quadri Armitage, nato nel 1984 a Nairobi, rielabora dinamiche contraddittorie del Kenya contemporaneo o meglio filtra attraverso un linguaggio pittorico tutto suo le svariate sfere che scandiscono la vita collettiva e individuale del suo paese d’origine: dalle manifestazioni locali ai piccoli episodi di vita quotidiana, dalle declinazioni della cultura popolare alle implicazioni delle politiche sociali.
Guardando alla tela come un possibile luogo di emancipazione dalla tradizione europea, l’artista dipinge sull’irregolare tessuto di corteccia dell’albero di Lubugo, materiale appartenente alla cultura dell’Uganda utilizzato un tempo per sudari funerari e oggi venduto in mercati turistici sotto forma di souvenir.
I miti che circondano la narrativa africana vengono decostruiti tramite processi di astrazione che mettono in discussione il punto di vista unico facendo emergere limiti e tabù. La memoria personale, l’esperienza diretta in Kenya si uniscono alla stringente attualità narrata dai media, costituendo un immaginario fatto di violenza e disagio sociale, ma anche di speranza.
Armitage ha studiato alla Slade School of Fine Art e alla Royal Academy of Arts di Londra. La sua pittura si sviluppa attraverso un sistema di riferimenti alla storia dell’arte, dalle manifestazioni rupestri, dai geroglifici egizi a Tiziano, Goya, Velazquez e Manet, arrivando a stringere uno stretto rapporto con Peter Doig e, soprattutto nei lavori esposti in “The Promised Land”, con Jacob Lawrence e Jack Katarikawe. Ripartendo da Paul Gaugin, l’artista si appropria dell’esotico sovvertendone la visione occidentale, invitando lo spettatore attratto dallo stile seducente dei suoi quadri a problematizzare l’attitudine coloniale.
“The Promised Land” riunisce una serie di opere realizzate tra il 2014 e il 2019 in cui avvenimenti reali e fittizi legati al Kenya sono sovrapposti e stratificati in atmosfere surreali. Le nuove produzioni seguono la composizione di “The Fourth Estate” (2017), in cui vengono ritratti raduni politici dell’opposizione prima delle elezioni in Kenya nell’agosto del 2017. Ispirati a queste grandi manifestazioni, le opere svelano gli esiti di strategie in atto per la costruzione del consenso attraverso impianti di propaganda esibita che sfociano in episodi di violenza collettiva. I lavori precedenti raccontano episodi di vita dell’Africa orientale, in alcuni casi elevando i soggetti a paradigmi grotteschi di dinamiche non metabolizzate dalla società civile, come per l’intimo omoerotismo di “Kampala Suburb” (2014) o per la scena di turismo sessuale racchiusa in “Mangroves Dip” (2015). Al suo termine a Torino la mostra si sposterà al Museo di arte contemporanea australiano, a Sydney.
In un’intervista al quotidiano ‘La Stampa’, a una domanda sulla visione che l’Europa ha dell’Africa Armitage ha risposo che “è parte della natura umana proiettare una propria visione sugli altri, ma il problema è che questo atteggiamento diventa una forma di oppressione. Succede di continuo”. Invece sul proprio racconto dell’Africa, ha precisato che “non ci sono istruzioni per i quadri, le persone possono pensare quello che vogliono. Io evoco delle tensioni, dei conflitti, delle disuguaglianze, ma in un contesto movimentato dove non si vede semplicemente il giusto e lo sbagliato”.
Il mese prossimo la Biennale di Venezia punterà su Armitage e il Moma di New York lo ha scelto come nome per la grande riapertura di ottobre, con un rinnovo degli spazi dedicato ad artisti neri, sudamericani, asiatici e donne.
Photo Credit: © pagina Facebook Fondazione Sandretto Re Rebaudengo