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In Burkina Faso 50 anni di cinema africano

Memoria e futuro dei cinema africani” è stato il tema della XXVI edizione del Festival panafricano del cinema di Ouagadougou, il Fespaco, svoltosi nella capitale del Burkina Faso dal 23 febbraio al 2 marzo. Questa più delle altre è stata un’edizione speciale che ha celebrato il cinquantenario del festival di cinema e televisione più importante di tutto il continente, nato nel 1969, quando il paese si chiamava ancora Repubblica dell’Alto Volta, per “far vedere immagini dell’Africa, dall’Africa e per l’Africa”.

Cinquant’anni dopo la missione rimane la stessa, ma il contesto è fortemente cambiato. Sul continente sono tante le sfide da affrontare per chi fa cinema, in condizioni sicuramente più complesse rispetto ad altre aree del mondo.

Novità di questa edizione è stata la creazione di una sezione dedicata ai documentari, aggiungendosi alle categorie storiche dei lungometraggi in gara e non, cortometraggi, film di animazione, film delle scuole africane e serie televisive. Per il cinquantenario sono stati proiettati alcuni dei grandi classici del cinema africano in versione restaurata – tra cui le opere dei ‘maestri’ burkinabè Missa Hébié e Idrissa Ouédraogo – per rendere omaggio ai registi più illustri, oltre alle opere della diaspora africana nel mondo. In tutto 165 proiezioni partecipate da 100 mila persone.

Paese ospite d’onore è stato il Ruanda e, per la prima volta nella sua storia, i paesi anglofoni sono stati ben rappresentati rispetto alla tradizionale predominanza di opere in lingua francese, che spesso si sono portati a casa lo Stallone d’oro di Yennenga.

Quest’anno è andato al regista ruandese Joël Karekezi per il suo lungometraggio “The Mercy of the Jungle” coproduzione franco-belga che denuncia l’assurdità della guerra attraverso la storia di due uomini, un congolese e un ruandese, nelle montagne del Kivu all’inizio della seconda guerra del Congo, nel 1998. Con delicatezza, secondo la critica, il regista ha saputo affrontare un tema forte e difficile, che riporta all’attenzione del pubblico intrighi e incertezze sugli attori della guerra nell’est del Congo. Proprio in quella regione crudele opera il Nobel della Pace, il ginecologo Denis Mukwege, ‘l’uomo che ripara le donne’ vittime di stupri. Lo Stallone di argento è stato assegnato a “Karma” di Khaled Youssef (Egitto) e quello di bronzo a “Fatwa” di Mahmoud Ben Mahmoud (Tunisia).

Nella sezione cortometraggi, il Puledro d’oro ha ricompensato “Black Mamba” di Amel Guellaty (Tunisia). Quello di argento è andato a “Une place dans l’avion” del senegalese Khadidiatou Sow e quello di bronzo a “Un air de Kora” di Momar Kandji (Senegal).

Nella sezione documentari lungometraggi, lo Stallone d’oro è stato assegnato a “Le loup d’or de Balolé” di Aicha Boro (Burkina Faso), quello di argento a “Au temps où les arabes dansaient” di Jawad Rhalib (Marocco) e quello di bronzo a “Whispering truth to power” di Shameela Seedat (Sudafrica).

Nella sezione dedicata ai cortometraggi documentari si è aggiudicato il premio del Puledro d’oro il documentario realizzato da Aidos (Associazione Donne per lo Sviluppo), “Against All Odds” (“Contre toute attente”).  Il film racconta la vera storia di Charity Reasian Nampaso, regista del film insieme ad Andrea Iannetta (Italia), e prima ragazza del suo villaggio a dire no alle mutilazioni genitali femminili a soli 12 anni. La trama segue il complicato percorso di Charity, dal rifiuto da parte della famiglia e della comunità alla fuga dal suo villaggio nel Masai Mara, in Kenya, fino ad arrivare al suo impegno in favore dei diritti delle ragazze in Africa e in Europa e al lungo e difficile riavvicinamento con il padre. Puledro d’argento a “Zanaka-Teny nomen’i Felix” (“Ainsi parlait Félix”) di Nantenaina Lova (Madagascar) e quello di bronzo a “Tata Miloud” di Nadja Harek (Algeria/France).

A vincere la categoria dei film di animazione è “Briska” di Nadia Rais (Tunisia). Al secondo posto “Un kalabanda a mangé mes devoirs” di Raymond Malinga (Uganda) mentre il premio della giuria è stato assegnato a “Da Tsysy da” di Tojo Niaina Rajaofera (Madagascar).

A Ouagadougou, città considerata la Mecca del cinema africano, culla dei principali registi, sede di una biblioteca specializzata e di una fiera dei professionisti, i protagonisti della settima arte si sono confrontati sui cambiamenti dell’industria, sulle strategie da attuare per conquistare nuovo pubblico e per raggiungere l’autonomia finanziaria. Prestigiosa la giuria  presieduta dal regista burkinabè Gaston Kaboré, con la partecipazione del filosofo e storico camerunese Achille Mbembe, lo scrittore senegalese Felwine Sarr e l’ex ministro della Giustizia francese, Christiane Taubira.

Della cerimonia di apertura, tra fuochi d’artificio e concerto della famosa band ivoriana i Magic System, c’è da ricordarsi le parole forti e molto politiche del presidente della Commissione dell’Unione africana (Ua), il ciadiano Moussa Faki Mahamat.

“La messa in discussione del multilateralismo e di conseguenza del multiculturalismo, segnata dall’impennata degli egoismi nazionali, del populismo e del ripiego su se stessi ci interpella profondamente sul posto dell’Africa nel mondo che si forma sotto i nostri occhi. Non si tratta di lamentarsi né di implorare la carità degli altri. Tale comportamento sarebbe una violenta aggressione alla nostra alterità e dignità. Non saranno certo i nostri gemiti o le nostre lacrime ad intenerire quelli che hanno costruito la propria potenza e gloria emarginandoci e traendo vantaggi indebiti dalla ricchezza del nostro continente” ha detto sotto applausi fragorosi il presidente della Commissione Ua. Rivolgendosi ai registi e a tutti i professionisti del cinema, Mahamat ha riconosciuto in loro “gli artigiani, i guardiani e i promotori del nostro statuto mondiale, del nostro futuro”. Il cinema del continente, in particolare quando si rivolge “ai nostri giovani che sembrano cedere alla disperazione, potrebbe dare un contributo insostituibile al progetto panafricanista e arginare il male” ha auspicato il leader ciadiano.

Anche in Africa il cinema, l’arte è impegno politico: ci racconta i mille volti (nascosti) del continente giovane in rapida trasformazione che finora, dall’altra sponda del Mediterraneo, conosciamo così poco.

Photo Credit: © Fespacohttps://fespaco.bf

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