
Chaimaa Fatihi, oltre il velo
Oggi blu, domani verde, dopodomani rosso o arancio. Oltre il velo, sono tante le sfaccettature di Chaimaa Fatihi, autrice della “Lettera aperta di una musulmana italiana ai terroristi”, scritta dopo l’attentato al Bataclan di Parigi, e del libro “Non ci avrete mai”. La sua identità ha radici profonde nel suo Marocco natio, ma altrettanto profondi sono l’amore e il rispetto per l’Italia, dove vive con i genitori dall’età di sei anni. A scandire il suo quotidiano lo studio del diritto, alla Facoltà di Giurisprudenza di Modena, unito a quello dei testi sacri dell’Islam, la sua religione. Quando parli con Chaimaa, 23 anni, proprio per la sua giovane età ti colpiscono limpidezza e dolcezza unite a caparbia e maturità. Si presenta come scrive, in modo documentato, chiaro e semplice, per “farsi capire da tutti”.
Politici, analisti, giornalisti spesso dibattono sull’Islam in termini falsi o scorretti. Quali responsabilità hanno?
Fanno con le parole quello che i terroristi fanno con le armi. Decontestualizzare versetti del Corano vuol dire strumentalizzare un testo sacro con fini propagandistici per seminare odio nel primo caso e morte in quello dei terroristi. Ad esempio la parola Jihad viene tradotta come guerra santa mentre significa sforzo interiore. Un approccio semplicista e poco competente frutto della malafede per creare confusione e disinformazione. La sfida è culturale: se si intraprendesse un percorso serio di conoscenza reciproca, il 90% dei pregiudizi cadrebbe. In realtà le cose che ci uniscono sono molte di più di quelle che ci dividono!
L’attualità, però, non è molto confortante. Negli Stati Uniti il bando anti-Islam. In Europa avanzano estremismi e populismi.…
I provvedimenti di Trump così come tutte le derive discriminatorie e di odio politico ledono ai valori delle nostre società. Rappresentano un problema serio, una minaccia, per cui non possiamo stare zitti. Inoltre costituiscono un’ulteriore vittoria per i terroristi che cercano di dividerci, di creare più spauracchi, non solo con le armi. Dobbiamo denunciare con forza queste derive e contrastarle in modo democratico e libero. Solo così potremo bloccare la strada a chi sta cercando di infuocare le nostre terre con politiche scellerate ma anche chi lo fa seminando morte e distruzione.
A dividerci secondo molti sono usi e costumi così distanti. A cominciare dal velo. Sarà mai possibile superare paure e pregiudizi?
Il velo non è altro che un atto di devozione a Dio e a nessun altro, uomo o donna che sia. Indossare il velo è una decisione consapevole e libera, frutto di un percorso individuale. Eppure tutti si arrogano il diritto di parlare in merito al corpo delle donne musulmane, ma non solo. Quante chiacchere ci sono state la scorsa estate sul burkini quando molti non sanno che il velo che indossiamo in Europa si chiama niqab e non burqa! La diretta interessata non viene quasi mai interpellata. Poi quando le si dà la parola è quasi sempre per parlare solo di velo, religione e terrorismo. Non si guarda mai invece alle sue competenze specifiche, oscurandone il percorso di studi, culturale o di attivismo sociale. Il colmo è quando dici che indossi il velo in tutta libertà, ti senti rispondere che non è vero. Lo sai a cosa vai incontro se fai questa scelta: più pregiudizi, più barriere e porte chiuse nel mondo del lavoro. Quindi ci vuole tanta determinazione. Si potranno superare gli stereotipi solo quando il concetto donna uguale solo religione sarà portato sul piano donna uguale mondo ricco, che ha una visione a 360 gradi sul mondo che la circonda. La sfida è riuscire a creare uno spazio pubblico della nostra presenza a tutto tondo, ma anche riuscire a parlare non solo in quanto musulmane ma con e per tutte le altre donne. Quanti diritti negati e quante lotte comuni da portare insieme per una società meno violenta e più inclusiva.
E la scuola che ruolo può avere?
Il ruolo delle insegnanti è decisivo per educare i futuri cittadini del nostro paese. La scuola dovrebbe puntare su progetti culturali di gruppo per aiutare i ragazzi a conoscersi, per far capire loro l’importanza della diversità come valore aggiunto e del rispetto reciproco. Ai miei tempi si faceva ancora educazione civica, una disciplina che poteva aiutare in questo senso. Anche l’ora di religione potrebbe diventare l’ora delle religioni, nella quale coinvolgere gli studenti di origini diverse. In questo modo a “km zero” potrebbero spiegare usi, costumi, religioni diverse, diventando un ponte tra più culture. L’insegnamento della lingua italiana a tutti deve essere una priorità per abbattere la barriera linguistica, un primo passo verso un’accoglienza vera e la conoscenza reciproca.
In Italia si corre il rischio di veder sorgere pericolose banlieues, come in Francia, e con esse potenziali terroristi?
La storia dell’immigrazione in Italia è totalmente diversa da quella francese, che ha un pesante passato coloniale alle spalle. Qui invece c’è un’immigrazione micro diffusa, con tante comunità sparse su tutto il territorio. Tuttavia non bisogna abbassare il livello di attenzione nei confronti dei giovani, in famiglia, a scuola e sul versante delle politiche sociali, economiche e culturali. Il ‘modello’ francese di integrazione/assimilazione è chiaramente fallito. In questi ragazzi si è creato un vuoto di identità, colmato con la violenza, diventando facilmente strumentalizzabili dai terroristi sulla rete. Inoltre, reprimere l’aspetto religioso non è la carta vincente, anzi. E’ stato dimostrato dalle varie indagini che gli attentatori non frequentavano le moschee, non erano praticanti. In Italia servono luoghi di raduno dignitosi, facili da raggiungere e aperti al pubblico. In questo modo i giovani musulmani potranno essere seguiti nel proprio percorso di fede e operare scelte consapevoli. Dobbiamo imparare dagli errori degli altri.
La legge di cittadinanza è al centro del dibattito. Sei cittadina italiana da solo due anni, dopo un iter lungo e macchinoso. Perché è così importante?
E’ un tema di cui si parla molto e da tempo, ma non abbastanza. Ci sono 800.000 invisibili, tutti ragazzi che vivono qui da sempre o ci sono nati, hanno seguito interi cicli di studi. Una legge cruciale per dare diritti e doveri a chi di fatto è già figlio/figlia di questo paese, ma che finora è stato respinto da ‘mamma Italia’. Questa legge consentirebbe anche di misurare il grado di civiltà dell’Italia. Noi, seconde generazioni, siamo in prima linea nella costruzione di una nazione multiculturale, più rispettosa delle diversità e più inclusiva. Il futuro dell’Italia, dove sono già nate le terze generazioni, si costruisce oggi.
Photo Credit: © Chaimaa Fatihi