“African Metropolis”, un viaggio continentale
Dal 22 giugno al 4 novembre il MAXXI di Roma presenta due mostre dedicate all’Africa: oltre a “Road to Justice” anche “African Metropolis. Una città immaginaria”, a cura del camerunense Simon Njami e di Elena Motisi.
“African Metropolis” è strutturata intorno al concetto di città, spazio fisico e mentale di incontro d’esperienze e di dialogo tra contemporaneità e tradizione. In quello spazio, suddiviso in cinque sezioni, 40 artisti africani con oltre cento opere mostrano le sfaccettature dell’identità africana, le trasformazioni sociali e culturali in atto.
Installazioni, arazzi, dipinti, video, sculture e tessuti indagano in modo trasversale intorno a un luogo immaginario, una zona in continuo cambiamento tra l’ambiente e i suoi abitanti, in equilibrio precario. Più o meno nascosti elementi di inquietudine e di pericolo, come preannunciato dal titolo della rassegna, che fa riferimento al film di Fritz Lang.
I curatori hanno individuato cinque azioni metropolitane – Vagando, Appartenendo, Riconoscendo, Immaginando e Ricostruendo – che raccontano una città immaginaria e consentono al visitatore di interpretare sia lo spazio fisico di una metropoli contemporanea, attraversato nel corso della nostra esistenza, sia quello mentale, definito dalle sensazioni e dalle emozioni risvegliate in noi.
Tra la decine di opere specifiche, il progetto del beninese Meschac Gaba, noto per aver realizzato un museo africano “nomade”, già presentato al Rkjsmuseum di Leida e alla Tate di Londra.
Le opere sono allestite come elementi di uno skyline cittadino, frutto di una continua stratificazione di interventi e descrivono un percorso in cui il visitatore può perdersi, riconoscersi e immaginare, secondo un susseguirsi di elementi in cui opere monumentali si alternano a lavori intimi e a rielaborazioni ‘site specific’.
La mostra si snoda intorno a lavori che catalizzano l’attenzione, capaci di ricreare la sensazione dello spazio cittadino e le sue dinamiche. Tra questi, le gigantesche installazioni realizzate per la mostra da Bili Bidjocka, che sulla piazza del museo innalza una “Time Tower”, scultura che cita la Torre di Babele e il Faro di Alessandria e da Youssef Limoud che, con il suo “Labyrinth”, evoca un edificio collassato su sé stesso. E anche lavori come “Prends le bus et regarde” (2006) di Amina Zoubir, che restituisce al visitatore la sensazione di essere all’interno di un autobus o “Le Salon Bibliothèque” di Hassan Hajjaj, realizzata appositamente per la mostra, che riproduce lo spazio di una libreria dal sapore marocchino, in cui è possibile riposare, conversare, leggere.
La metropoli descritta dalla mostra non è una città “formale”, di architetture costruite, organizzate secondo regole urbanistiche, ma una città costruita da chi la abita; ecco allora che incontriamo opere come “Behind This Ambiguity” (2015/2018) di Abdulrazaq Awofeso: 120 statuine che letteralmente invadono lo spazio come una folla in uscita dalla metropolitana. La strada è senza dubbio un luogo vissuto e ricco di stimoli visivi, resi attraverso “566 PROTECTED AREA” e “768 NO POSTERS” (2016)di Onyis Martin, opere simili ad affissioni, alle scritte sui muri, ai messaggi subliminali cui è costantemente sottoposto chi percorre la metropoli.
Tra le altre opere esposte, alcuni scatti della serie fotografica di Franck Abd-Bakar Fanny, “My Nights are Brighter than your Days” (2016), capaci di restituire l’idea di quel vagare e perdersi che spesso accompagna l’esperienza e la conoscenza di una nuova città. Foto che sono il frutto delle passeggiate notturne dell’artista, reso insonne dal jet-lag dovuto alle lunghe ore di volo tra Africa, Europa e Stati Uniti. Un racconto immersivo della città ci viene da “Symphonie urbaine” (2017-2018) di Lucas Gabriel, opera sonora in due lingue, disposta in quattro diverse aree della mostra: qui è la città stessa a parlare, con accenti gioiosi e provocatori, una città composta dai suoni di molte città, la cui personalità trascende confini e geografie.
African Metropolis è un alternarsi di immagini e immaginari, tra le “Falling House” (2014), le case sospese a testa in giù, di Pascale Marthine Tayou, fragili architetture domestiche composte da una miriade di immagini, i tessuti di Abdoulaye Konaté “Calao” (2016) e “Alep” (2017), simbolo di memoria e denuncia sociale, e l’installazione monumentale di El Anatsui, “Stressed World” (2011), composta interamente di rame riciclato.
La mostra affronta temi di attualità con “Bureau d’échange” (2014) di Meschac Gaba, che denuncia come tutte le materie prime legate alle risorse naturali siano diventate prodotti di speculazione capaci di condurre la società a profonde crisi economiche, o con “World Disorder II” (2017) di Paul Onditi artista che solleva interrogativi sugli sconvolgimenti politici, strutturali, sociali ed economici a livello locale e mondiale.
Ma c’è anche spazio per la speranza, il sogno, le nuove possibilità, tra i vestiti disegnati da Lamine Badian Kouyaté (Xuly.Bet) che si affacciano sulla piazza del museo come in una vetrina, creazioni che trasmettono i valori della modernità africana, e che dimostrano come qualsiasi cultura possa diventare avanguardia; e ancora le fotografie di Mimi Cherono Ng’ok il cui sguardo trasforma ogni luogo in un paesaggio emotivo legato alle esperienze e al vissuto dell’artista, o quelle di Sarah Waiswa che in “Ballet in Kibera” (2017) ritrae un gruppo di bambini di una periferia impegnato in una lezione di danza classica.
Riconoscere se stessi nella grande eterogeneità dell’Africa è uno degli obiettivi della mostra. Ci si chiede come si possa vivere insieme in uno spazio che sembra composto da differenze insormontabili, e se sia possibile costruire il ritratto di una città di cui tutti siano abitanti pur essendo stranieri.
Mettendo in mostra parte della produzione artistica di un continente che comprende oltre cinquanta nazioni, migliaia di città e milioni di abitanti, African Metropolis riesce a restituire un contesto universale e ci aiuta a comprendere le città di tutto il mondo, simili a libri da sfogliare, impossibili da raccontare ma soltanto da vivere, una xenopóleis in cui l’abitante modifica ed è modificato dall’ambiente che lo circonda.
African Metropolis approfondisce inoltre uno dei filoni di ricerca del MAXXI, quello sulla grande città e le sue dinamiche, i suoi fermenti, in continuità con le mostre dei mesi scorsi sulla scena creativa del Mediterraneo dedicate a Istanbul e Beirut: mostre multidisciplinari che coniugano ricerca artistica, design, architettura e urbanizzazione.
La mostra “African Metropolis”, realizzata con la collaborazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – DGMO, fa parte di un più ampio progetto fortemente voluto da Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI, dedicato alla vitalità della scena artistica di un continente in crescita tra contraddizioni e ferite aperte, ed è parte di quella linea di ricerca del museo che vede nell’arte e nella cultura strumenti di dialogo e diplomazia culturale. E’ inoltre un’occasione per offrire attraverso l’arte un contributo alla conoscenza, al dialogo, alla sicurezza e alla pace di un continente legato a doppio filo all’Europa. “Questo progetto è per noi anche un’occasione di incontro e collaborazione con le comunità africane presenti a Roma, cui è idealmente dedicato: giovani provenienti da diverse regioni del continente, autoctoni e di seconda generazione, saranno infatti protagonisti di un’intensa attività di mediazione interculturale, interpretando le opere in mostra secondo le loro personali esperienze” ha dichiarato la Melandri.
Le due mostre al MAXXI vengono accompagnate da Afropolitan, progetto di mediazione interculturale con giovani provenienti da diverse regioni del continente africano, giovani di seconda generazione e autoctoni. I mediatori interculturali sono presenti in mostra e aperti al dialogo con i visitatori secondo il seguente calendario:
– dal 22 giugno al 20 luglio e nel mese di settembre ogni giovedì e ogni venerdì dalle ore 15:00 alle ore 19:00 (eccetto festivi);
– nei mesi di ottobre e novembre ogni sabato dalle ore 11:00 alle ore 19:00.
Il progetto é realizzato con la consulenza scientifica per la mediazione interculturale di La Speranza Cooperativa Sociale.
Per maggiori informazioni, consultare la guida: https://www.maxxi.art/wp-content/uploads/2018/02/MAXXI_Booklet_AfricanMetropolis.pdf
Photo credit: ©Musacchio, Ianniello & Pasqualini, courtesy Fondazione MAXXI