Dak’Art 2018, la Biennale dell’ora rossa
Sipario alzato su Dak’Art 2018, 13ma Biennale dell’arte africana contemporanea, più antica e rilevante rassegna del continente entrata nei circuiti internazionali dell’arte.
“L’heure rouge”, “L’ora rossa” è il titolo scelto per Dak’Art 2018 dal direttore artistico Simon Njami, realizzata in collaborazione con commissari di Camerun, Messico, Marocco, Svezia e Hong Kong. Un nome ispirato al poeta originario della Martinica, Aimé Césaire, uno dei padri della Négritude, nel decennale della sua scomparsa. L’espressione ‘l’heure rouge’ è tratta dalla sua pièce “Et les chiens se taisaient” del 1956. “L’heure rouge corrisponde al crocevia tra passato e futuro che chiamiamo presente, istante decisivo che dovremmo imparare a sfruttare nella sua interezza” ha spiegato Njami, tra le 50 personalità africane più influenti secondo ‘Jeune Afrique’, curatore della mostra “I is another. Be the other” alla Galleria nazionale di arte moderna (Gnam) di Roma. Per l’Africa è giunta l’ora della consapevolezze e della presenza, della riscoperta di sé, della propria storia, della propria identità e delle proprie potenzialità non solo per mostrare al mondo il meglio della sua creatività ma per avere un proprio posto sullo scacchiere artistico internazionale.
Tra le novità di questa edizione, per la prima volta il Senegal ha un padiglione nazionale, curato da Viyé Diba, artista plastico originario della Casamance, che lavora stabilmente a Dakar. Dak’Art va in scena fino al 2 giugno sia nei luoghi istituzionali che nei sobborghi della capitale, per il circuito off della biennale. L’edizione 2018 rende omaggio allo scultore Ousmane Sow, una delle più grandi figure artistiche del Senegal, deceduto nel dicembre 2016 all’età di 81 anni.
Alla mostra internazionale “A New Humanity” partecipano 75 artisti di 33 diversi paesi, con Tunisia e Ruanda ospiti d’onore. Sudafrica e Marocco, con nove presenze ciascuno, sono i più rappresentati. Tra i nomi di punta quelli del fotografo sudafricano Andrew Tshabangu, del beninese Meschac Gaba, dell’ivoriano Ouattara Watts, amico e collaboratore di Basquiat, e dell’egiziano Ghada Amer, che per l’occasione ha collaborato con l’iraniano Reza Farkhondeh. Tra le nuove proposte destano particolare interesse il gruppo di artisti dello Zimbabwe, tra cui il fotografo attivista Kudzanai Chiurai.
I curatori Bonaventure Soh Bejeng Ndikung (Camerun), Marianne Hultman (Svezia) e Cosmin Costinas (Romania) presentano ciascuno un’esposizione collettiva. Quella a cura di Bejeng Ndikung è dedicata all’avanguardia sonora africana contemporanea, con il progetto ‘Lagos Saoundscapes’ di Emeka Ogboh che ha raccolto suoni e rumori della metropoli nigeriana.
Il Gran Premio Senghor è andato a Laeila Adjovi della ‘Bbc’ per la sua serie di fotografie intitolata “Malaïka Dotou Sankofa”, un personaggio di finzione. Un titolo carico di simboli e al crocevia tra più culture africane: Malaïka significa angelo in swahili, Dotou vuol dire rimanere solido nei principi in lingua fon del Benin mentre Sankofa è il simbolo akan (Ghana) dell’uccello messaggero che vola con la testa rivolta indietro, per imparare dal passato. “Volevo dare vita a una creatura che esprime la nostra lotta continua per portare a cambiamenti veri nelle nostre relazioni col mondo. Malaïka ci insegna che se noi africani ci alziamo, dobbiamo farlo per noi stessi e seguendo la nostra agenda” ha spiegato la Adjovi, franco-beninese, cresciuta in Gabon e Sudafrica, corrispondente della ‘Bbc’ in Senegal per l’Africa occidentale. Le ali della sua creatura si ispirano ai capi indossati dai Baye Fall, comunità religiosa del Senegal. Il lavoro della Adjovi, collocato nella mostra internazionale “In” della Biennale, all’interno dell’ex palazzo di giustizia di Dakar e al Museo della Fotografia di Saint-Louis, vuole essere una risposta alla narrazione dei media mainstream sull’Africa.
Altra istallazione degna di nota è il chilometro artistico che attraversa il centro di Dakar, tra i quartieri della Medina e della Gueule Tapée, con decine di opere esposte su iniziativa di Nicolas Dahan e Maurice Pefura. Il progetto “Il mio super chilometro” è stato pensato come una galleria a cielo aperto per abbattere barriere sociali ed estetiche per creare legami tra le diverse componenti sociali della capitale.
Tra gli artisti emergenti segnalati da ‘Bbc Afrique’ c’è il marocchino Mohssin Harraki, con le sue coloratissime istallazioni; il nigeriano Tejuoso Olanrewaju, originario di Abeokuta, con il suo progetto “Oldies et Goodies”, che realizza opere con rifiuti di plastica, metallo e carta; Barthélémy Toguo e la sua mostra “Beyond Fahrenheit 451, a book is my hope” che racconta l’importanza del libro, della memoria collettiva e della trasmissione della storia: la gabonese Nathalie Mba Bikoro e la sua rappresentazione “Triumph of Seagulls”; la pittrice Pélagie Gbaguidi, nata a Dakar ma di origine beninese e lo scultore sudafricano Moshekwa Langa.
La Dak’Art “Off” ha anche ospitato il festival Afropunk, dal 2 al 5 maggio, con una tre giorni di concerti intitolati “The Takeover Dakar”. L’edizione senegalese dell’Afropunk Fest è la prima mai organizzata in tutta l’Africa occidentale dai fondatori del format, Matthew Morgan e Jocelyn Cooper, dopo una prima sul continente africano lo scorso 30 dicembre a Johannesburg, in Sudafrica. Sul palco musicisti e cantanti senegalesi in linea con lo spirito di Afropunk e ospiti stranieri: il beatmaker elettro Ibaaku, il dj afro-americano Raashan Ahmad dalla California, il senegalese Nix, il rapper Rhapsod e quello togolese Elom 20ce. Nel pop-store sono state vendute creazioni inedite di designer e stilisti promettenti come Selly Raby Kane, Bull Doff e L’Artisane.