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A sud del Sahara, i nuovi circuiti della moda

Dopo Milano, Parigi e Londra, il circuito della moda si sta spostando a sud del Sahara per regalarci una bella ventata di novità e colori.

Dakar Fashion Week in Senegal, South Africa Fashion Weeks a Johannesburg e Città del Capo, Nigeria Fashion Week, Swahili Fashion Week e Festival internazionale della moda di Niamey. L’african style sfila già ai quattro angoli del continente ed è riuscito a conquistare anche le più esclusive passerelle della haute couture con le Black Fashion Week di Parigi, Praga, Montreal e Salvador de Bahia.

Protagonisti della moda afro e della diaspora sono le materie prime, a cominciare dai tessuti dai colori e disegni tradizionali – Wax e Batik – le linee inconfondibili di mini o maxi abiti, camice, ampie gonne e pantaloni impreziositi con ricami e perle, per non parlare dei gioielli, scarpe e borse in pelle fino ai profumi inebrianti dalle esotiche essenze creati dai stilisti affermati ma anche dai giovani talenti emergenti. E poi ci sono loro, le bellezze mozzafiato che indossano le collezioni con portamento regale, classe e personalità. Nulla da invidiare alle loro colleghe bianche.

Trai i big della moda africana c’è il principe del deserto nigerino Alphadi, il creatore ivoriano e burkinabe Pathé’O, l’ivoriano Gilles Touré, l’ivoriana Angybell, la regina senegalese del pagne, da modella a simbolo del patrimonio culturale continentale Collé Ardow Sow, le altre stelle dell’african style le senegalesi Mame Faguèye Bâ e Sophie Nzinga Sy ma anche il burkinabe Bazem’sé. Poi ci sono loro, i giovani designer acclamati dalla critica internazionale: i nigeriani Lanre Da Silva-Ajayi, Tsemaye Binitie, Fati Asibelua, il duetto Bunmi Olaye e Francis Udom della marca Bunmi Koko; i sudafricani Malcom Kluk e Christiaan Gabriel Du Toit, la senegalese Adama Paris e l’ivoriano Moustapha Traoré, per citarne solo alcuni.

“La vibrante creatività dell’Africa non può più essere contenuta nei confini del continente né banalizzata come una realtà marginale e folcloristica”: ne è convinta la giovane Adama Ndiaye, senegalese nata a Kinshasa, responsabile della firma Adama Paris. Vive tra Dakar, Los Angeles e Parigi. E’ nella capitale francese che qualche anno fa è approdata la prima Black Fashion Week. “Un grande successo di pubblico e critica. Finalmente la vecchia Europa ha riconosciuto il talento innovatore degli stilisti africani. E’ stata anche un’occasione importante per dare un’altra immagine dell’Africa, lontana dai cliché negativi rilanciati da molti media” gioisce la madrina delle Black Fashion Week nonché fondatrice produttrice della Dakar Fashion Week – che ha spento le sue prime 10 candeline nel giugno 2012 – e dei Trofei della moda africana (Tma). Come se non bastasse, dopo aver fatto sfilare i suoi costumi in Wax alla Modida Calida nelle Canarie, Adama è diventata l’animatrice di un programma dedicato alla moda sul canale Africa 7, “7 à la Mode”.

Ma l’etnico fa tendenza anche tra i grandi – da Burberry a Vivienne Westwood passando per Louis Vuitton – che da diversi anni producono intere collezioni contaminate dall’influenza africana, con stampe di paesaggi, disegni geometrici e simbolici, ricami su tessuti ripresi dalla tradizione del continente nero. Dall’etnico all’etico, il passo è breve…

E così anche la moda etica è approdata sulla scena internazionale: passerelle, patinate riviste di moda e vendita on line sui siti più trendy e fashion del momento. L’obiettivo dichiarato è quello di produrre una moda basata su materie prime naturali e/o riciclate, con l’aiuto e nel rispetto dei diritti umani delle popolazioni locali.

Così alcuni grandi gruppi di moda – Gap, Indego Africa e Suno, ma anche Converse e Emporio Armani – hanno stretto partenariati con alcune personalità del mondo della musica e della cultura – in prima fila Bono degli U2 – per sfornare prodotti etici – tra cui il logo Red – di cui una parte del ricavato è servito a finanziare la lotta mondiale all’aids, alla tubercolosi e alla malaria. Anche il leader britannico della vendita di abbigliamento e accessori in rete Asos ha dato vita ad una collezione Made in Africa esclusivamente concepita e realizzata da gruppi comunitari artigianali del Kenya: l’Atelier Soko in cerca di soluzioni sostenibili per rispondere alle nuove sfide economiche per i locali. Indego Africa ha stabilito un partenariato innovante tra designer di tessuti e accessori del Rwanda e il marchio statunitense Nicole Miller. Suno, linea di abbigliamento femminile basata a New York ha fatto il percorso inverso: i suoi fondatori Max Osterweis e Erin Betty hanno raccolto per anno tessuti tradizionali keniani utilizzati per lanciare una loro collezione a Nairobi. La società newyorkese sta formando e sostenendo artigiani keniani del settore della moda per creare un loro marchio sostenibile.

Ad aver intuito da tempo lo sconfinato potenziale del Made in Africa è la francese Isabelle Quéhé, ex top model che nel 2004 ha lanciato l’Ethical Fashion Show, salone specializzato in moda equa, prodotta grazie a materie prime e riciclate, rispettosa dell’ambiente e dei diritti umani oltre che generatrice di risorse economiche per le popolazioni locali.

Anche le riviste di moda e i siti più fashion della rete hanno captato che l’African Style è l’ultima tendenza da seguire. Persino Vogue ha aperto un’apposita sezione ‘VBlack’ dedicata al ‘mondo nero’, tra le più cliccate. Il numero ‘100% black’ di Vogue Italia magazine è andato a ruba. Sta spopolando il magazine Miss Ebène, pubblicato in Francia, con in copertina star dal calibro di   Beyoncé.

Ma l’appeal del ‘Black is beautiful’ ha contagiato anche alcune grandi aziende del settore automobilistico e delle telecomunicazioni. Un’African Fashion Week di New York  è stato organizzato da Img Mercedes Benz, che per l’occasione ha collaborato con la rivista Arise Magazine, una pubblicazione nigeriana dedicata alla moda e alla bellezza africana. La società di telecomunicazioni MTN, leader sul continente, ha sponsorizzato la Nigeria Fashion Week e la Lagos Fashion and Design Week. Affaire à suivre….

Photo Credit © Alphadi

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